Lirica
DON GIOVANNI

Spoleto sedotta dalla feroce purezza di Don Giovanni

Spoleto sedotta dalla feroce purezza di Don Giovanni

"Mi pare sentire odor di femmina…": uno dei personaggi che hanno riempito più romanzi, poesie, opere ed evoluzioni letterarie, da Tirso de Molina a Molière a Baudelaire e chissà quanti altri, ha pronunciato, anzi urlato la celebrazione della sua potenza al teatro Gian Carlo Menotti di Spoleto, in uno dei più splendidi Don Giovanni che si ricordino. Magnifica rappresentazione, sia per l’allestimento (Giorgio Ferrara ha firmato regia e drammaturgia, Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo la scenografia, Maurizio Galante i costumi e Fiammetta Baldisseri il disegno delle luci) sia per l’ottimo livello delle voci e delle interpretazioni.

Da Ponte/Mozart, la trilogia è completa
Dopo Così fan tutte e Le Nozze di Figaro, James Conlon firma la conclusione del mirabile trittico conducendo l’Orchestra giovanile Luigi Cherubini e facendo sentire il suo apporto soprattutto nella sottolineatura e nell’accompagnamento delle arie: elemento particolarmente importante, se pensiamo che fra i vari personaggi, nessuno ebbe un trattamento "di favore" da parte del Genio Salisburghese: la quantità di arie di eguale livello è distribuita equamente, così come la cura per i particolari psicologici e la presenza di innovazioni armoniche del canto, per l’epoca del tutto sorprendenti.
Tutti i cantanti hanno qui un sillabato intelligibile ed un altissimo livello di interpretazione, ma una nota di merito va segnalata sia per Don Giovanni (Dimitris Tiliakos) che conserva spirito e perfetta timbrica fino alla sua magnifica discesa negli inferi agita fra gli spettatori nel mezzo della platea rosso-fuoco, sia per l’eccellente Donna Elvira di Davinia Rodriguez, la voce più completa del cast, la cui estensione consente incursioni personalizzate.

Bentornato, Kierkegaard
Molto appropriata, la scelta di appoggiare l’intera concezione sulle indimenticabili analisi del personaggio che fece Søren Kierkegaard, rivalutandone la purezza estetica e soffermandosi sulla percezione dei sensi-aisthesis che sulla scena pervade ogni atteggiamento dell’irruente Dissoluto: un “demoniaco desiderio di vivere” che è forza cosmica e viene ben tratteggiato anche dai movimenti e dagli atteggiamenti prossemici dei personaggi.
Ed è questo un trait d’union con la capacità del tutto unica di Mozart, di porsi al di là del bene e della morale, non dipingendo nulla che instilli “simpatia o antipatia”; ciascuno brilla di essenza propria e conserva ruoli non troppo cristallizzati, tanto da affidare una della arie dal fascino più straordinario del bel canto ("Là ci darem la mano") ad un’azione che è il contrario di ciò che suggerisce il sublime della musica: uno dei più bei duetti d’amore di sempre, pieno di grazia e addirittura di purezza, è pronunciato dalle fauci del libertino che adopera le sue arti ingannatorie per sedurre la povera fanciulla... suprema meraviglia dell’ambiguità e del valore della musica di Mozart, capace sempre di inventare percorsi che portano verso l’ignoto o l’imprevisto, di destare dal sonno del quotidiano e di aprirci ad emozioni perfino antitetiche rispetto a quelle attese.
Potremmo dire, l’essenza della ricerca del Bello; e grande è il merito di averlo saputo replicare nella versione Spoletina: l’attimo nel quale affogare la vita stessa, ed al quale restare fedele ad ogni costo, fosse anche quello di sprofondare fra le fiamme dell’inferno con il simulacro del Commendatore, del Convitato di pietra, ed oltre, irriducibile nell’ultimo viaggio, magari come Baudelaire nell’ultimo verso del "Don Juan aux Enfers" lo ha descritto mentre sulla barca di Caronte, in mezzo alle onde nere e scene spaventose, rimane ancora imperterrito:

Mais le calme héros, courbé sur sa rapière,
Regardait le sillage et ne daignait rien voir.

Ma sdegnoso d’ogni vista, l’eroe, curvo sulla spada,
solo scrutava il solco della barca nell’onda.

Visto il 30-06-2017
al Nuovo Gian Carlo Menotti di Spoleto (PG)