Una premessa, subito. Per il secondo pannello della Trilogia d'autunno del Ravenna Festival 2022 - il Don Giovanni di Mozart e Da Ponte, collocato fra Nozze di Figaro e Così fan tutte - regia musicale e regia teatrale hanno optato per la primigenia versione di Praga 1787.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Dunque senza le aggiunte di Vienna 1788, la scena di Don Ottavio «Che mai creder...Dalla mia pace» scritta per il tenore Francesco Morella, e senza quella di Elvira «In quali eccessi...Mi tradì quel cuore ingrato» composta per Caterina Cavalieri. Però al Teatro Alighieri l'opera si conclude comunque con il sestetto finale della versione viennese, mentre al boemo Nostitz-Theater terminava in origine prima, con la discesa agli inferi del torvo libertino.
Che poi questa versione un tantino posticcia sia «più chiara, naturale e vivace», come pretende il regista Ivan Alexandre, sarebbe tutto da discutere. Come discutibile sarebbe la soluzione scenica, ispirata alla tradizione della Commedia dell'Arte, che spinge lui ed il scenografo/costumista Antoine Fontaine a collocare l'intero ciclo sul palco di una compagnia ambulante, dove si mescolano tragico e comico. Funziona? Si, il concetto funziona. Per una volta. Ma vederlo applicato a tutte e tre le opere... che barba!
Mise en scène pulita, concertazione serrata
Sia come sia, la regia risulta molto lineare, agile, scorrevole, pulita, amante dei dettagli recitativi; magari non del tutto originale – certe trovate, già viste – nondimeno nel complesso parecchio gradevole. Ed il pubblico l'apprezza. In Don Giovanni, suggerisce Alexandre, adocchiate un Cherubino fattosi adulto, cinico e violento sciupafemmine; lo ritroverete vecchio e disincantato, quale Don Alfonso, in Così fan tutte a far la morale agli altri. Fabrizio De André cantava che «la gente dà buoni consigli quando non può più dare il cattivo esempio».
Due idee interessanti: una, dipingere il corpo di Leporello con le innumerevoli conquiste del licenzioso cavaliere; l'altra, attorniare di tetre maschere in vesti da prete – una sorta di Tribunale d'Inquisizione – un Don Giovanni morente. Come nelle altre due opere del trittico dapontiano (delle quali trovate le recensioni a parte), sull'assito ligneo il pubblico vede alzarsi solo dei tendaggi, qui con disegni vagamente astronomici, molto svolazzanti. Abiti, tutti molto aggraziati, in perfetto stile fine '700.
Nella concertazione della nippo-tedesca Erina Yashima – appena nominata kapellmeister alla Comische Oper Berlin - qualche teutonico clangore degli ottoni non guasta una lettura energica, piena di contrasti e di effetti cromatici, vorticosa ed incalzante. Forse anche troppo, perché in certi frangenti servirebbe maggior levità; e perché non sempre lascia agli interpreti vocali spazio per la resa delle opportune nuances di colore, e delle sfumature espressive. Però nella sua guida lo spirito mozartiano emerge appieno, ed è genuino, aleggiando sia sul contesto strumentale che nel comparto vocale, invero molto interessante.
L'Orchestra è sempre la bravissima Cherubini, sottoposta in questi giorni ad un vero tour de force; al fortepiano uno spigliato Lars Henrik Johansen. Un plauso al piccolo (in questo caso) Coro Cherubini preparato da Antonio Greco.
Otto personaggi, sette interpreti
Christian Federici è un ragguardevole Don Giovanni, mai enfatico, mai sopra le righe; possiede un tornito e bel timbro vocale, prodiga colonna di fiato, spiccata personalità, è vero uomo di teatro. Al suo fianco non sfigura l'agile, estroverso e musicalissimo Leporello di Robert Gleadow, con bel timbro e vellutata morbidezza. Il soprano romeno Iulia Maria Dan raffigura Donna Anna aristocratica ed elegante, sia nella resa del personaggio, un po' altero e distaccato, sia nella nobile linea di canto, soffusa di tenere sfumature.
La nostra Arianna Vendittelli – presente anche nelle Nozze quale eccellente Susanna – offre una Donna Elvira passionale, ricca di mordente e drammaticità. Recitata benissimo e cantata ancor meglio: una prestazione ammirevole. Julien Henric infonde nel suo Don Ottavio l'adeguato tratto di nobiltà, e procedendo con canto preciso, ben controllato ed espressivo ne riscatta l'insito grigiore.
La figura di Zerlina deve contare nelle non straordinarie corde vocali del soprano elvetico Chiara Skerath, che in contropartita risulta molto fresca e spigliata in scena. Doppio ruolo per il giovane basso britannico Callum Thorpe, chiamato ad interpretare sia l'attempato Commendatore, sia l'ingenuo Masetto. Voce senz'altro bella, tornita, incisiva; ma dizione italiana, ahinoi, è realmente inadeguata.
Come gli altri due pannelli della Trilogia d'autunno, l'opera sarà a breve disponibile in visione gratuita sul portale ItsArt.