Nato sulle tavole del San Carlo di Napoli vent'anni fa, più volte ripreso, rimesso in corsa da una coproduzione dell'AsLiCo, del Teatro Regio di Parma dove oggi lo vediamo andare in scena, questo Don Giovanni mozartiano ideato da Mario Martone ripreso da Raffaele di Florio, non ha perso nulla della sua freschezza.
Specie se messo in mano, come nel nostro caso, ad interpreti musicalmente più che adeguati e scenicamente ben amalgamati. Oltre che in grado di comprenderne il senso, integrarsi bene nell'azione ed esaltarne la carica vitale.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Un teatro di fronte, un teatro alle spalle
Ogni cosa si svolge con vivida immediatezza, fluidamente. Siamo davanti ad una arena semicircolare di legno, trasparente, che accoglie il coro e talora gli interpreti: una via di mezzo fra una sala shakespeariana, un'arena spagnola e gli scanni d'un tribunale, secondo l'intento di Martone. E' una regia, la sua, di stampo tradizionale; che ci dona un modello di vero teatro vivo e palpitante, nell'alternarsi vorticoso di comico e drammatico.
Uno spettacolo persino avvolgente, poiché i protagonisti dal palcoscenico dilagano sovente nella platea, sbucano e spariscono dalle porte d'accesso, si spostano veloci fra le file di poltrone, coinvolgendo emotivamente lo spettatore.
Regia a parte, anche gli altri elementi concorsuali di questo Don Giovanni funzionano egregiamente. I bellissimi costumi settecenteschi, da presepe napoletano, sono stati disegnati da Sergio Tramonti – sua anche la scenografia – mentre le luci sono montate da Pasquale Mari. Le lineari coreografie le ha ideate Anna Redi.
Siamo a Vienna, o a Praga? Tutte e due...
Musicalmente, la versione come sovente s'ascolta è un misto della versione di Praga e di quella di Vienna. Vi ritroviamo difatti il sestetto finale «Questo è il fin», e le arie di Donna Elvira «Mi tradì quell'arma ingrata» e di Don Ottavio «Della sua pace». Perché questa però sia anticipata dalla 14a alla 3a scena dell'atto primo, perdendo parte del senso originale, non lo comprendiamo; ma il pubblico non se n'è accorto, e tanto basti.
La figura di Don Giovanni trova grande incisività ed una dose di giusto istrionismo nelle robuste corde vocali, nell'incisività di fraseggio e nella prestanza scenica di Vito Priante. Recita bene, non v'è dubbio, delineando un libertino rapace, brutale e beffardo; ma canta ancor meglio.
Gente d'alto e basso rango
Da parte sua, Riccardo Fassi è un Leporello vigoroso, servo e complice del padrone; forte di un'emissione ben controllata e gestita con fantasia e varietà d'accenti, tien testa al suo datore di lavoro. Quanto a Marco Ciaponi, lo vediamo delineare un Don Ottavio di rara preminenza, nobile e virile, con una voce morbida ed omogenea, ricca di sfumature e mezze voci, e dal fraseggio fine e penetrante.
Fabio Previati sarebbe un po' agée per sembrare un giovane sposino; nondimeno mestiere ed esperienza contano, e molto. Così il suo Masetto, affrontato con sobria misura, in scena funziona alla grande, ben modulato ed accattivante nel limpido timbro baritonale. Il Commendatore di Giacomo Prestia conferma il basso fiorentino per quello che è: un fior fior di cantante.
Tre donne, tre soprani
Le donne, ora. Carmela Remigio fu protagonista di due memorabili performances - una dal vivo, Ferrara 1990; l'altra discografica nel 1997 - entrambe sotto Claudio Abbado: era allora una strepitosa Donn'Anna, ruolo sostenuto innumerevoli volte. Mentre qui incontriamo una Donna Elvira altrettanto valida, striata di scure risonanze, dal significativo impatto scenico, perfetta nell'alternarsi di contrastanti sentimenti verso il sinistro seduttore.
Magari sconta qualche minimo affaticamento vocale, ma la figura è comunque gestita con intelligenza e ricca musicalità, risultando di travolgente forza propulsiva. Il profilo di Donn'Anna a tocca invece a Mariangela Sicilia: gestione avveduta dei fiati, massima espressività, buona stoffa vocale non mancano certo nel soprano calabrese; tuttavia a tratti un debordante impeto vocale la porterebe ad andare sopra le righe. Ideale ci pare la Zerlina che ci dona Enkeleda Kamani, voce carnosa, calda, ben modulata; ed una silhouette fresca, spontanea, stando alla larga da inopportune leziosità.
Il direttore bene, l'orchestra meno
Per finire, la guida musicale di Corrado Rovaris. Si avverte come il maestro bergamasco abbia profuso molte energie nella concertazione; e quanto ricerchi fantasia dinamica e varietà cromatica, sottolinei l'alternarsi di opposte atmosfere, voglia perseguire un calibrato gioco di contrappunti.
Tuttavia l'Orchestra dell'Emilia Romagna Arturo Toscanini non brilla qua e là per precisione, né sempre risponde totalmente ai suoi impulsi. Un vero peccato. Tutto il contrario possiamo però dire del Coro del Regio, impeccabilmente preparato da Martino Faggiani.
Teatro pressoché stracolmo, ed un pubblico soddisfatto e prodigo di applausi.