Ci sono storie senza tempo. Quella di Don Pasquale di Donizetti, per esempio, appena andata in scena al Teatro Verdi di Trieste.
Più che la solita opera buffa, un soggetto buono tanto per Plauto che per Molière, per la Venezia di Goldoni o per la Parigi di Feydeau: un settantenne preso da prurito matrimoniale tardivo, la sbandata per una donna più giovane – una vedovella civettuola e scaltra – però è già sentimentalmente impegnata con suo nipote. Ed un deus ex machina amico di entrambi, a porre in atto un piano ingegnoso per fargli toccare con mano come non sia il caso di imbarcarsi in liaisons nuziali fuori tempo massimo.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
La storia capita in mano ad un librettista, Giovanni Ruffini, il quale riprende una farsa di buon successo – il Ser Marcantonio di Anelli/Pavesi di trent'anni prima – e ne fa una commedia borghese decisamente più attuale.
Ed in mano ad un compositore, molto amato a Parigi dove ha messo radici, che oltre a inventare una sfilza di melodie accattivanti, crea un delizioso mix di maliziosa comicità, poetico lirismo, tenera melanconia. Perché, in fondo, guarda con occhio assai indulgente, senza troppo prenderla in giro, quest'ingenua scalmana senile.
Dalla Roma papalina a quella di Fellini
Il regista Gianni Marras, riprendendo un suo spettacolo nato anni fa al Comunale di Bologna, sposta la vicenda dalla Roma ottocentesca del libretto a quella degli Anni '50-'60 del secolo passato. Quelli della commedia all'italiana, dello yé-yé e dei musicarelli, di Vacanze romane di Wyler e de La dolce vita felliniana.
Idea iniziale di per sé azzeccata e felice; e sostenuta da un andamento vivace, carico di bonario humour, con tempi comici consoni e tante piacevoli trovate che riecheggiano il cinema ed i personaggi di quei tempi felici.
Norina vista come un'Audrey Hepburn a spasso in Vespa per Roma; Ernesto con una ridondante acconciatura bionda, e l'atteggiarsi un po' alla Little Tony (ed infatti canta Com'è gentil col microfono in mano tra adoranti fans), e si prepara ad andare nello spazio come Yuri Gagarin.
Malatesta e Don Pasquale sembrano invece uscire dritti da certi film in costume del grande Totò. E a proposito di costumi, bellissimi e iperbolici in disegno e colori quelli congegnati da Davide Amadei, al quale dobbiamo pure divertenti fondali stile cartoons.
Quattro interpreti pieni di brio
Al centro di tutto un cast ben combinato, che diverte e si diverte, e che nei momenti d'insieme sprizza scintille. Al centro, il Don Pasquale di Pablo Ruiz, di una comicità mai sopra le righe, mai troppo buffonesca. Un'interpretazione, a conti fatti, condotta con vocalità generosa, spontanea comunicativa e sapiente caratterizzazione.
Gli tiene botta il Malatesta arguto e spumeggiante di Vincenzo Nizzardo, che affronta con incisività e apparente nonchalance l'alta tessitura del ruolo. Così il vorticoso duetto Cheti cheti immantinente, dai perigliosi sillabati, viene reso da entrambi con vorticosa irruenza.
Il soprano albanese Nina Muho impersona una Norina espressiva, assai disinvolta, con piacevole brio e piccante spirito; ad una voce di soprano leggero indubbiamente attraente, agile nelle colorature, unisce poi un'emissione ben controllata e ricca di musicalità.
La parte d'Ernesto non riserva insidie ad Antonino Siragusa, che mette a frutto la solita vocalità luminosa, elegante e fluida, facile agli acuti ed alla coloratura; e che asseconda con buon spirito il carattere estroverso che la regia gli assegna. Un applauso all'abilità mimica di Daniele Palumbo, onnipresente in scena attraverso una sfilza di saporite macchiette. Il Notaro truccato da Groucho Marx è Armando Badia.
La direzione di Roberto Gianola non solleva il nostro entusiasmo: tiene una condotta corretta tanto nei contorni ritmici che in quelli melodici, ma alla fin fine offre solo una prova di decorosa routine; e di conseguenza anche l'Orchestra del Verdi non brilla come al solito, fors'anche per il forzato sparpagliamento da Covid-19.
Corretto il breve intervento del Coro, diretto da Paolo Longo. La seconda compagnia vedeva, nello stesso ordine, Michele Govi, Bruno Taddia, Elisa Verzier e César Cortés.
Maledetti cellulari...
Una singolare notiziola. Alla fine della Sinfonia, uno smartphone è scivolato di mano da un palco del terzo ordine cadendo in testa al primo contrabbasso, Chiara Molent. La poverina, evidentemente contusa, non ha fatto più ritorno in orchestra. Per favore, a teatro non solo spegnete i cellulari, ma riponeteli anche al sicuro.