Lirica
DON PASQUALE

Don Pasquale nella casa delle bambole

Don Pasquale nella casa delle bambole

“Il 3 gennaio 1843 è data importante per Gaetano Donizetti e per l'opera buffa italiana. Per Donizetti significa la prima rappresentazione di Don Pasquale, ultima sua produzione di carattere comico, destinata al successo fin dal primo apparire e a racchiudere caratteri e saggezza del suo autore rispetto alla commedia. Per l'opera buffa, Don Pasquale segna un punto di arrivo e di rottura. È l'approdo di una tradizione comica italiana che percorre i secoli, e nell'800 si perpetua e caratterizza sulle risultanze della nuova sensibilità. È l'attimo in cui la commedia si affaccia sull'abisso tragico, vi si specchia e si ritrae per ricomporsi l'ultima volta. Dopo il brivido drammatico e musicale di Don Pasquale (lo schiaffo di Norina a Don Pasquale, l'elegia sofferente che frantuma l'equilibrio nel gioco del vecchio pretendente gabbato) non ci saranno più opere buffe elaborate sugli schemi dell'antica tradizione comica settecentesca”. Così Franca Cella nel libretto di sala mi pare sintetizzare al meglio il senso di Don Pasquale, anche alla luce dell'allestimento del Maggio.

Aggiungerei una sola considerazione, il collegamento con Goldoni e le sue commedie borghesi, testi (come il libretto presente di Giovanni Ruffini) che sembrano fatti di niente e invece contengono la verità della vita di tutti i giorni, nella quale ognuno può riconoscersi oggi come ieri, con le semplici gioie del quotidiano e le angosce disperatamente semplici che scaturiscono da fatti magari anche banali ma sui quali si basa la vita vissuta, come l'amore e il rapporto tra le età e le generazioni, per non dire del tema incredibilmente attuale del sapere o non sapere invecchiare, vero tabù della contemporaneità.

La scena di Isabella Bywater è una casa delle bambole a tre piani, molto bella e curatissima in ogni dettaglio (tappezzerie, soffitti a cassettoni, mobili, suppellettili), chiusa da due grandi sportelli. Al primo piano una cucina e un salotto-ingresso, al secondo una camera da letto e uno studio (gli ambienti di Don Pasquale), al terzo uno spogliatoio e una camera da letto (occupati da Ernesto), tutti raccordati da una scala centrale che sale da un piano all'altro.
I bei costumi della stessa Bywater, rigorosamente d'epoca, accentuano (con l'ausilio del trucco: le facce biaccate coi pomelli rossi come nella commedia dell'arte oppure per le bambole) il senso di casa di bambole della scena.
Completano l'allestimento le perfette luci di Jvan Morandi, riprese da Luciano Roticiani: il gioco teatralissimo del terzo atto, ambientato nel giardino, si svolge davanti alla casa delle bambole con gli sportelli semichiusi, in una penombra che è tutta mistero e burla. Però Don Pasquale mantiene la chiave (enorme) della casa e, nel finale, saldamente la stringe.

La regia di Jonathan Miller ha il pregio di mantenere sempre alto il brio e la leggerezza dell'opera senza calcare la mano su stereotipi o giogionerie. Lo spettacolo pare svolgersi davanti allo spettatore con estrema naturalezza, senza artifici. Gli stessi personaggi non sono mai macchiette, ma i caratteri sono sottolineati in modo efficace, mostrandone altresì l'evoluzione e sfaccettature non immediate che completano a tutto tondo i ruoli. Complici cantanti e coristi spigliati e divertenti, misurati senza mai essere caricaturali.

Nel ruolo del titolo Bruno De Simone ha grande padronanza scenica, sottolineando la malinconia dell'anziano ed il guizzo della facile conquista nel rapporto inevitabilmente antagonistico con il nipote: De Simone ha la tinta del comico e quella del malinconico, l'illusione della speranza di fronte alla realtà delle cose, esprimendosi con spontaneità e ampiezza di sfumature attoriali e vocali. Cinzia Forte è una Norina spigliata, dalle notevoli capacità attoriali e dalla voce appropriata, pure senza guizzi; la Forte riesce a cogliere diversi spunti dal personaggio ed a presentarli al pubblico con immediatezza e credibilità, dagli abbandoni lirici alla furbizia schietta, dalla recitazione nella parte di Sofronia al turbamento nella scena dello schiaffo (si dispiace sinceramente per quello che, a tutti gli effetti, suona come una cattiveria, un eccesso); Norina vive già nella casa di Don Pasquale, clandestinamente celata negli appartamenti di Ernesto fra terzo piano e soffitta. Fabio Capitanucci è un bravo Dottor Malatesta (un po' Figaro) con bella voce e spigliato nella recitazione: è lui il deus ex machina della situazione, ascolta dietro le porte chiuse e amoreggia con la servetta in cucina; vocalmente non ha difficoltà neppure nell'inizio con le salite verso l'alto e le colorature nel duetto con Norina. Meno ha convinto Mario Zeffiri (Ernesto) a cui manca freschezza vocale e che rivela qualche difficoltà in acuto: quando la voce sale la linea di canto pare indurirsi e la stessa intonazione vacillare un poco (però è da rilevare la bravura nell'affrontare l'aria che introduce il finale). Con loro il notaio di Alessandro Calamai.
Coro presente marginalmente, ma preparato adeguatamente da Piero Monti; da rilevare l'ottima presenza attoriale dei tre coristi impegnati nei ruoli di maggiordomo e servitrici.

Riccardo Frizza dirige con tempi non celeri ma giustamente briosi e un suono sempre arioso e limpido. A cominciare dalla sinfonia, in cui il motivo della serenata si distende morbidamente e con molta tenerezza, a rivelare che non solo comicità ci sarà nell'opera. Oppure dopo lo schiaffo, quando i violini paiono sospirare non tanto di sorpresa quanto di leggero dolore (qui è abile anche il regista, Norina di ritrae in un angolo, turbata dall'essersi spinta troppo oltre con quello che non pare più un gioco a fin di bene). Insomma Frizza riesce a creare un'atmosfera lieve, sorridente ma di spessore che dà pienezza umana ai personaggi e si adegua bene alle scelte registiche. Buona prova dell'orchestra del Maggio, anche nei rilievi di violoncello e tromba.

Felice la scelta del Teatro di aprire la stagione, passata ad anno solare, con un allestimento di proprietà, occasione per il pubblico di poter ammirare spettacoli del passato assolutamente da ri-vedere per regia ed apparato scenotecnico.
Qualche posto vuoto in sala, pubblico divertito a plaudente in modo generoso con tutti, sia durante la recita che alla fine.

Visto il
al Maggio Musicale Fiorentino di Firenze (FI)