Lirica
DON PASQUALE

Don Pasquale vignaiolo, tra le bottiglie di Amarone

Don Pasquale
Don Pasquale © Ennevi

Rieccola la gradevole versione “enologica” del Don Pasquale di Donizetti, ideata da Antonio Albanese. Una rilettura dal piacevole sapore agreste.

Rieccola la gradevole versione “enologica” del Don Pasquale di Donizetti, ideata da Antonio Albanese proprio qui al Teatro Filarmonico di Verona non molti anni fa. Una rilettura dal piacevole sapore agreste, che vede il protagonista titolare di una immensa cantina, immersa tra i vitigni che circondano la città veneta. Soave, Bardolino, Custoza... e preziosissimo Amarone della Valpolicella, come suggeriscono le cassette in legno ove siede uno sconsolato proprietario. Assolati filari dove troviamo una vispa Norina intenta a potare le viti in folta compagnia. In questo scorcio d'inverno, tra l'altro, siamo nel periodo giusto.

Un po' al chiuso, un po' all'aperto

Dopo gli infiniti scaffali di bottiglie che ci accolgono all'inizio, dopo i luminosi scorci collinari, veniamo poi catapultati nel vetusto e polveroso salotto di casa Corneto, che si riempe a vista di cianfrusaglie: sono tutte gradevoli idee scenografiche di Leila Fteita. Per i graziosi costumi che ci portano cinquant'anni indietro, siamo grati a Elisabetta Gabbioneta. Le luci sono di Paolo Mazzon, mentre l'animata ed ammiccante regia di Albanese è qui ripresa da Roberto Maria Pizzuto.


Direzione un po' compassata

Sul podio dell'Orchestra scaligera troviamo Alvise Casellati, un direttore di casa più a New York che da noi. La sua concertazione è molto professionale e sorvegliata, ligia alla pagina, con indubbi tocchi di finezza nella cura strumentale, e con precisissimo collegamento tra golfo mistico e palcoscenico. Ma non di certo appassionante. Don Pasquale è una salace, gioiosa commedia, in cui pure all'orchestra spetta un compito narrativo. Però la lettura del maestro padovano manca di verve e di arguzia, sorvolando non tanto sui colori e sulle nuances - tutti ben resi - quanto sulla resa psicologica dell'alternanza di momenti comici e di languidi abbandoni, che vorrebbe un concertatore più immaginoso e partecipe. Quanto alle deplorevoli defaillances del primo violoncello nell'assolo della sinfonia, e della prima tromba – questa tra l'altro ben messa in vista – nell'aria di Ernesto, non sono certo colpa sua.


Vediamo chi canta...

Carlo Lepore si mostra eccellente caratterista, uso ad esprimersi con sobrietà ed eleganza, ponendo in campo una spontanea comunicativa che ci induce al complice sorriso. Vola sul canto e non ha problemi di tessitura, ed in più sa conferire al suo Pasquale anche tutti quei risvolti di disillusa malinconia che ci vogliono – eccome - per render completo il personaggio. Bravissimo, veramente. Anche Francesco Longhi brilla in scena sin dall'aria d'entrata, con un Malatesta vocalmente accurato e calibratissimo, ornato e spigliato nel fraseggio, irresistibile in scena.

Ora ironico, ora sornione, ma sempre tanto simpatico per le doti innate d'attore. Il giovane soprano spagnolo Ruth Iniesta è una Norina vezzosa e piccante -la frizzante recitazione cade a pennello- sostenuta da bella ed espressiva musicalità. Ci è infine molto piaciuto il timbro limpido e squillante, sostenuto da buona sicurezza tecnica, del tenore toscano Marco Ciaponi alle prese con i congeniali panni di Ernesto. Meglio ancora, se infondesse ancor più smalto e di energia nei suoi momenti solistici. Il Notaro è il tonitruante Alessandro Busi.

Visto il 24-02-2019
al Filarmonico di Verona (VR)