L’intermezzo “La cantata e disfida di Don Trastullo” venne composto nel 1749 da Niccolò Jommelli, all’epoca trentacinquenne, per il Teatro della Pace di Roma. L’operina, che utilizza un libretto anonimo, portava in scena una trama estremamente semplice, come di consueto entro il genere d’appartenenza: il raggiro attuato ai danni di un vecchio fanfarone (Trastullo, basso) da una scaltra servetta (Arsenia, soprano) che vuol sposare il suo giovane innamorato (Giambarone, tenore). Su questo schema estremamente convenzionale, dipanato con svelta paratassi drammaturgica, si innestano lazzi e giochi verbali attinti all’inesauribile serbatoio della commedia dell’arte e assemblati secondo una logica costruttiva incurante della coerenza complessiva, ma tesa piuttosto a produrre effetti comici immediati e sanguigni. La musica di Jommelli, raffinata a briosa, sempre capace di assecondare il ritmo dell’azione con la sua cangiante pulsazione, ottenne un notevole successo e circolò tra numerose piazze teatrali italiane ed europee seguendo le traiettorie delle compagnie itineranti. Dopo un oblio bisecolare, la creazione del maestro aversano venne recuperata nel 1955, quando fu diretta da Franco Caracciolo proprio nel Teatrino di Corte del Palazzo Reale di Napoli che in questi giorni la ospita. Circa dieci anni fa “Don Trastullo” è stato proposto anche da Antonio Florio con la Cappella della Pietà dei Turchini in una rilettura piena di energia e di fantasia, della quale resta traccia in una godibilissima registrazione discografica.
L’attuale allestimento sancarliano, che si avvale di una nuova revisione della partitura curata da Ivano Caiazza, accosta al testo di partenza due tasselli estranei, ancorché dovuti anch’essi alla penna di Jommelli: la mancanza di un’ouverture nell’originale viene supplita con la sinfonia tripartita dell’Attilio Regolo (Roma 1751), mentre tra la prima e la seconda parte dell’intermezzo (eseguite di seguito, senza intervallo) si ascolta il Salvum fac per soprano e oboe solista dal Te Deum (1746). Se la prima aggiunta è funzionale e può essere assimilata a una prassi già settecentesca di migrazioni e riusi, il secondo innesto appare francamente improprio: il brano sacro, peraltro bellissimo, è incuneato nella rappresentazione senza un perché, e non basta a giustificarne la presenza l’altarino mariano collocato al centro della scena tra luci basse e tremolio di candele.
Né questa è l’unica scelta discutibile. La regia di Riccardo Canessa chiama in scena diverse comparse, che moltiplicano l’unico personaggio muto previsto dal libretto del 1749 (Dorinella, serva di Arsenia). Queste presenze dovrebbero servire a ricreare la vivacità di un vicolo napoletano; al contrario, con la loro gestualità approssimativa, esse finiscono per interferire con il decorso dei pezzi chiusi agendo come inutile elemento di distrazione. Le azioni mimate vorrebbero essere ammiccanti, ma risultano banali e bozzettistiche, con tanto di impiego - insistito e del tutto gratuito - di una coppia di bambini.
La scena fissa di Patrizia Balzerano (che firma anche i costumi - ovvero gli abiti comuni - indossati dagli attori) è caratterizzata da uno scorcio impervio, che restringe il già limitato spazio a disposizione; il fondale è un vortice di nuvole concentriche, che porta in prospettiva il cielo del vicolo. I colori gridati e i dettagli oleografici, anziché trasmettere allegria, creano un impatto visivo pericolosamente incline alla recita parrocchiale.
Buona la prestazione degli interpreti. Mariangela Sicilia è agile ed elegante, ma in futuro dovrà lavorare per ottenere una migliore comprensibilità delle parole che canta. Il tenore spagnolo David Ferri Durà (subentrato dopo le prime recite a Francesco Marsiglia) è intonato e ha un timbro piacevole. Notevole per vocalità e presenza scenica è Domenico Colaianni, che incarna il personaggio di Trastullo con trascinante simpatia. Precisa la conduzione di Maurizio Agostini, giovane ma già apprezzato sia come direttore d’orchestra che come compositore.
Lirica
DON TRASTULLO
DON TRASTULLO NEL VICO NAPOLETANO
Visto il
al
Corte di Palazzo Reale
di Napoli
(NA)