È il 1983 quando Ingmar Bergman scrive e dirige il film “Dopo la prova”. Il regista sessantaseienne, all’avvicinarsi della terza età, sente il bisogno di concentrarsi ancora una volta sulle cose fondamentali della sua vita: le relazioni famigliari e professionali, il rapporto con le donne e con il teatro. Nasce così questa delicata e ferocissima storia di un triangolo al cui centro si trova il direttore teatrale, alle prese con “Il sogno” di Strindberg, mentre ai lati si alternano Anna e Rakel, le due amanti che, nel presente e nel passato, hanno segnato i momenti chiave della sua vita e della sua carriera.
Il regista Reza Keradman sceglie di adattare questo spettacolo per il teatro puntando, secondo le sue note di regia, sulla “semplicità e naturalezza” dei suoi attori, e in questo senso prende se stesso come interprete del protagonista.
Tuttavia la sensazione che si ha è di un passo falso. Scegliendo una regia auto-diretta di fatto il regista si allontana e allontana la propria concentrazione dallo spettacolo stesso: alle evidenti difficoltà linguistiche della sua interpretazione si contrappone un vuoto di intenti nelle altre due attrici protagoniste della scena.
Sia Selene Rosiello che Monica Samassa le avevamo già viste proporre un’ottima prova nel ruolo della madre e della figlia di “Anche io, je suis Catherine Deneuve”, in cui si erano distinte per energia, chiarezza e proposizione, dimostrando la loro levatura attoriale e personale.
Qui invece si percepisce la distanza e la piattezza di personaggi che sembrano limitarsi a raccontare la storia tale quale l’ha voluta Bergman, senza particolare emozione o interpretazione personale. E se Samassa propone comunque una recitazione che si veste di accenti e coloriture (una Rakel che torna nei pensieri del regista viva e lucida e tentarlo ancora), Selene Rosiello dà luogo a un’esposizione poco convincente, priva di calore, dove funziona più l’espressione corporea che quella verbale. Si crea una confusione anche di unità di tempo e di luogo: difficile collegare i momenti del flashback emotivo del regista - legato sia alla figlia nel presente, che alla madre nel passato - quando non vi è un minimo di indicazione da parte delle luci o della scena, le maggiori titolate a sopperire a questo incarico.
Tutto ciò comunque pare imputabile, più che a una mancanza effettiva delle interpreti, a una vera e propria latitanza generale su un testo in verità enorme nella sua complessità e articolazione, che avrebbe beneficiato maggiormente di una regia più presente e personale per scandagliare in profondità tutte le sfumature psicologiche e stilistiche dell’autore.
Roma, 22 aprile 2009
Teatro Sala Uno
Visto il
al
Sala Uno
di Roma
(RM)