Il testo perduto di Shakespeare diventa materia malleabile nelle mani della compagnia "Il Mulino di Amleto". La coscienza che un testo non sia necessariamente monolitico, ma possa essere raffinato, per entrare in contatto con l'audience, è sempre apprezzabile ed il lavoro effettuato in questo caso è di alta qualità. Poche variazioni dall'originale, ma ben calibrate.
Scenografia e regia si fondono in un tutt'uno armonico in cui il disegno delle luci evidenzia efficacemente i piani di svolgimento dell'azione. E la convinzione che scenografie scarne siano efficaci quanto, se non più, di certi pomposi allestimenti, si realizza appieno in questo spettacolo. Un cantiere su palco, con travi di legno e secchi di metallo è contemporaneamente un cimitero, aperta campagna, città o palazzi.
Attori padroni dei ruoli, concentrati e sempre sul pezzo. Più volte mi è capitato di soffermarmi su una scelta registica bizzarra: in questo "Doppio Inganno" le prese di fiato erano le più rumorose e palesi che abbia mai visto in uno spettacolo teatrale . Perché? Il testo era già, di per sè, modulato con profondo nervosismo e il continuo debito d'ossigeno degli attori non era necessario. La tensione era già continua, comunicata in continuazione attraverso parole e movimenti schizofrenici. Troppe volte sembrava che gli attori stessero recitando in corsa, anche se erano completamente fermi e, a mio parere, distraeva l'attenzione dall'azione.
A parte questo particolare, le scene erano gestite con maestria e, a volte, straniamento. Ad esempio lo stupro, un momento atroce, aveva una forte carica comica, estremamente apprezzabile.
Un plauso va alla colonna sonora scelta e alla capacità canora degli attori che, posso garantire, non è così scontata.