DREIGROSSCHENZIRKUS

Un brechticidio fatto con le migliori intenzioni

Un brechticidio fatto con le migliori intenzioni

Dreigroschenoper diventa Dreigrosschenzirkus una rilettura libera ma rigorosa della più famosa opera firmata da Kurt Wiell e Bertolt Brecht impiegata come palestra di esercizio nel corso di formazione professionale permanente tenuto da Massimo Venturiello e Tosca che è arrivato sul palco per diretta volontà dei e delle partecipanti che hanno espresso questo desiderio prendendosene la responsabilità e dividendosi gli incarichi sopra e dietro il palco.

Il risultato è interessante e godibile con alcuni elementi di eccellenza e diversi elementi critici e discutibili.

Dal versante dell'eccellenza c'è l'impianto musicale, grazie prima di tutto a Giovanna Famulari al violoncello e Ivano Guagnelli  alle tastiere che, da soli, sostengono l'impianto musicale dello spettacolo (firmandone anche gli adattamenti) e a seguire tutti i cantanti e tutte le cantanti adeguatamente formati e formate da Tosca su partiture molto complesse.

Pur prestandosi con livelli e qualità intrinseche diverse, com'è naturale che sia tra i e le partecipanti a un corso di formazione, le donne soprattutto si sono dimostrate tutte capaci di muoversi con la necessaria disinvoltura vocale sui toni bassi delle ballate con un colore individuale preciso e interessante.
Indimenticabile il duetto della gelosia tra Polly Peachum (Valentina Farella) e Lucy Brown (Melania Andaloro).

Meno incisivi gli uomini, ad eccezione di Vittorio Ciardo, vocalmente dotato ma del tutto incapace di restituire quella sotterranea malignità del suo personaggio la cui prima responsabilità va per prima a chi lo ha diretto.

Gli adattamenti della partitura pensata per l'orchestra e riscritta per tastiere e violoncello sono stati eseguiti con un adeguato rispetto della complessità originale. Il registro interpretativo ha invece tradito spesso la ieraticità del registro epico brechtiano originale con uno troppo leggiadro e disinvolto nell'esecuzione che in alcuni casi ha raggiunto i toni da Cafè Chantant (se non quelli gai da operetta) poco attenti a cogliere l'ironia delle partiture originali.

Basta pensare alla ballata di Jenny dei pirati il cui ribadito e ancora di me non sanno niente scandito tradizionalmente con così tanta forza assertiva da costringere l'interprete a una lunga pausa, viene qui cantato di seguito.

I topoi impiegati dalla regia di Davide Strava per sostenere lo sviluppo drammaturgico del testo sono fin troppo facili e discutibili non solo nell'orizzonte della poetica brechtiana ma anche rispetto la nostra contemporaneità, cercando un alleggerimento e una disinvoltura da varietà del tutto fuori luogo.

Alcune forzature comiche nella drammaturgia sono fuori contesto (come quella che vede Filch, interpretato da Donatella Barbagallo, trasformato in una macchietta da film muto) cercando una facile compartecipazione del pubblico che si sa fin troppo bene Brecht aborriva al quale chiedeva invece un distacco critico.

Ancora più discutibile e grossolana è la decisione di trasformare Mattia della Zecca (Andrea Carpiceci), uno degli sgherri di Macheath, in un cripto omosessuale (nell'incipit, mentre una didascalia si chiede se si tratti di finzione, lo vediamo passarsi un pennello da fard sul viso) che indossa sotto la giacca una camicia coi volant e che si trasforma in un personaggio di maschia virilità solo dopo aver ingravidato tutte le nostre donne, nel finale dell'opera, secondo una visione superficiale - e maschilista - dei comportamenti legati ai ruoli (e agli orientamenti) sessuali, non solo estranea a Brecht ma criticabile e irricevibile di per sé anche perchè sottilmente omofoba.

Tutti espedienti impiegati per dare colore a un testo altrimenti ostico e che avrebbe richiesto ben altro approccio drammaturgico. 

Tanta disinvoltura sul testo evidenzia i limiti registici di una messinscena il cui approccio di superficie ignora i sottotesti originali banalizzati da una regia non sempre all'altezza della situazione.

Un vero e proprio brechticidio insomma del quale si salva il lavoro musicale (anche se coi limiti detti) mentre la parte drammaturgica è proprio da dimenticare, anche nella qualità della recitazione.
 

Visto il 21-10-2013
al Italia di Roma (RM)