Proseguendo la sua tournée in giro per i teatri più noti d’Italia, “Due dozzine di rose scarlatte” di Aldo De Benedetti, riscritto da Tato Russo, ha debuttato ieri sera, 3 Marzo 2009, al Teatro Sala Umberto di Roma.
Ad aprire la scena, è il personaggio poco convincente della cameriera finto-africana Jossia. Si prosegue con la telefonata (solo la prima di tante) terribilmente innaturale di Tommaso. Si mette a parlare al telefono, una volta entrata in scena, anche Marina, la padrona di casa, pure lei con ritmi e toni poco credibili, per poi cantare e ballare una Macarena spenta. Insomma: l’inizio proprio non va.
Pian piano la trama si spiega da sola ed entrano in scena le rose scarlatte e i piani fantasiosi di seduzione di un compiaciuto Michel Altieri. Ma lo spettacolo, pur scorrendo, non prende mai il via.
Forse è proprio la voce della protagonista Katia Terlizzi che non penetra, non risulta varia, suadente e capricciosa, imprevedibile come vorrebbe il suo personaggio. C’è, effettivamente, un difetto tecnico alla base e l’attrice sbaglia qualcosa: parla troppo di testa? O di naso? O forse fa un uso forzato del diaframma? Non si capisce, ma il risultato è un modo di parlare artificioso e monotono, difficile da seguire, per niente accattivante. A tratti non si capisce neanche se pianga o rida…
Suonerie di cellulari improbabili (seguite in automatico da “balletti” altrettanto vuoti), automobili di ospiti invisibili che vanno a sbattere senza motivo, televisori al plasma e karaoke, sono, insieme all’aggiunta nel testo di qualche battuta e volgarità, tutto un insieme di “trovate” che dovrebbero arricchire la commedia ma hanno solo l’effetto contrario di rallentare dannosamente il tutto e non far ridere affatto. Forse l’unico elemento simpatico è un cagnolino di peluche che muove le orecchie.
Ma c’è poi realmente bisogno di tentare di “svecchiare” e rendere più simile alla tv ogni cosa che una giovane compagnia porta a teatro? Aldo De Benedetti ne ha davvero bisogno? Il teatro di taglio “classico” è davvero tanto disprezzato oggi, da dover essere snaturato – e rovinato?
La trovata straordinaria dell’autore di usare un oggetto così simbolico per creare equivoci e su cui proiettare i desideri di tutti i personaggi, è eternamente efficace e coinvolgente e questa commedia in realtà testimonia come, in fondo, se al giorno d’oggi, alla voglia di evadere dal proprio rapporto di coppia si supplisce con gli incontri in chat e su internet, De Benedetti, precorrendo i tempi (o forse limitandosi a raccontare una storia vecchia quanto il mondo) proponeva la soluzione più romantica ma altrettanto anonima, di scambi di rose accompagnati da bigliettini e lettere inviate ad un indirizzo di fermo posta.
Umberto Bellissimo è l’interprete che più si presta alle caratterizzazioni del personaggio di Tommaso, ma questa compagnia, regista compreso, deve ancora crescere e lavorare molto per funzionare.
Nel finale, ancora a discapito della spontaneità, le ultime battute importanti sono pronunciate con un tono eccessivamente “conclusivo” a mo’ di “morale della favola”.
C’è da dire, almeno, che gli abiti di scena di Katia, forniti dallo sponsor dello spettacolo, sono davvero deliziosi.
Roma, Teatro Sala Umberto, Marzo 2009
Visto il
al
San Babila
di Milano
(MI)