Uno spettacolo, due atti, due diverse storie. Il pubblico in sala viene letteralmente investito da un caleidoscopio di partenopea vivacità. Costumi, scenografie, interpretazione dialettale, musiche tutto riporta alla madre patria napoletana.
Lo spettatore segue con attenzione il ritmo veloce e serrato dei monologhi. Viene catturato dalla mimica facciale e corporea dei quattro attori, che indossano abiti di scena colorati di carnevalesca origine.
Come marionette, prendono vita e si liberano dal giogo del burattinaio; schegge impazzite percorrono su e giù la sala del teatro, facendosi beffe degli spettatori con sberleffi, risate e camminate improponibili.
Le scenografie, ben curate, sono pannelli girevoli che riproducono ora l’interno di una casa, ora l’esterno, e catapultano l’osservatore all’interno della scena.
Gli attori ricordano la figura del saltimbanco medioevale e del teatro di strada di quell’epoca, riprendono l’agilità e la destrezza dei movimenti, oltre che la narrazione di episodi di vita quotidiana. La scelta di usare il dialetto napoletano potrebbe sembrare azzardata, ma rende la messinscena caratteristica, e comunica interamente quello che i commediografi interpretano. La tipica verve partenopea, fatta di dramma mista a commedia, è l’elemento vincente di uno spettacolo che, se recitato in italiano, avrebbe rischiato di non rendere appieno l'interpretazione.
L’ordine delle cose viene ripristinato alla conclusione del secondo atto, quando, come un ciclope che ad ogni passo fa tremare il pavimento, le marionette perdono il controllo di sé e cadono a terra all’unisono, tramortite.
E' la rivincita del burattinaio, che trancia i fili a cui sono legate e riprende il controllo della situazione: alle marionette non resta che rimanere a terra tramortite, immobili.
Foggia - Teatro Ariston - 7 maggio 2009
Visto il
al
Ariston
di Foggia
(FG)