"Al giorno d'oggi ho a che fare soprattutto con gente come lei": è un tuffo in una linea retta, spartana come un pensiero denudato, quello che al Circolo ARCAS viene invitato subito a compiere lo spettatore di Durrenmatt Suite, portato in scena dalla compagnia (o un duo, come anche amano definirsi?) Hobos teatro: un lavoro sulla poetica dello scrittore, drammaturgo e pittore svizzero di metà '900 Friedrich Dürrenmatt che viene suddiviso in due parti strettamente interconnesse, l'una agganciata al radiodramma Colloquio notturno con un uomo disprezzato e l'altra al racconto Sera d'autunno.
Sebastiano Cappiello e Daniele Mattera agiscono con rispetto della drammaturgia originale, rappresentando anzitutto il celebre racconto nato per essere propagato nell'etere radiofonico, con la conseguente presenza di dialoghi serrati, espressività accentuate e rumoristica, raccontando del boia che va ad eseguire il suo compito fin dentro la casa della vittima designata, un mero esecutore che agisce con competenza e precisione, astratta deontologia e severa compenetrazione nel ruolo, tanto da ricordare una vena tardo-kafkiana laddove il potere viene rappresentato senza cardini, eppure perfettamente incardinato fin nelle ultime conseguenze, un Leviatano indefettibile intorno al quale mutano le personalità e la morale; sono argomenti che la compagnia mostra di fronteggiare a viso aperto anche grazie allo studio effettuato sul teatro morale degli anni 50, per rimanere infine con domande nate sospese, irresolute di fronte alla necessità superficiale di sapere ad esempio chi sia, il cosiddetto cattivo, e di cosa sia composto davvero, questo scontro fra libero pensiero e costrizione, punteggiato di numerose occasioni offerte alla riflessione sul tema ("Se l'uomo fosse solo corpo, cosa sarebbe facile per i potenti..." - "E' l'arte di morire, signore, che fa la differenza" - "Prima uccidevo dopo una lotta, oggi non si muore più coraggiosamente ma ci si lascia fare qualunque cosa")
Una difficile condanna a morte della dissidenza intellettuale, quella in cui si affrontano un boia dall'accento serafico, ed una vittima vanamente adirata, soprattutto se si trasformano subito dopo nei protagonisti del racconto successivo, affrontando l'intreccio tra realtà e romanzo: dopo 10 anni spesi in una minuziosa e costante ricerca, un pensionato con l'hobby delle indagini scopre che tutti i personaggi di un celebre scrittore sono reali, e che l'assassino è lo scrittore stesso, tentando quindi un cauto ricatto per vendere il suo silenzio. Ma come ammonisce lo scrittore, “la vera letteratura non ha nulla a che fare con la letteratura”, e la sua figura via via prende il corpo mostruoso e spurio di una morale travestita che osa mettersi a nudo perché sa che nessuno dei suoi lettori/spettatori è salvo, e da questo discenderà perciò anche la sua salvezza.
L'accostamento delle due opere unisce molti temi del Teatro Morale del Novecento e li accosta ai giorni nostri, all'odierna celebrazione della vita a tutti i costi in opposizione al fronteggiare la morte, all'imperare della volgarità a dispetto dell'arte, alla straniante differenza fra i due intellettuali esibiti, il primo corretto e condannato, il secondo scorretto e vincente... ma non c'è molto tempo per rimanere a pensarci, perché al termine dello spettacolo avviene qualcosa che riconcilia con il tempo che oggi giustamente si ritiene di non impiegare fino in fondo nel modo che merita: come possono fare forse soltanto i lembi degli anni 70 che si srotolano in una sala con tutti i loro colori, Daniele e Sebastiano si fermano, si siedono con gli spettatori (“a volte lo facciamo anche in circolo”), ed aprono il loro lavoro al confronto con le idee, le suggestioni, le esperienze sollecitate dalle parole di Dürrenmatt nel pubblico, in un raro momento in cui ai vari livelli di drammaturgia se ne aggiunge perciò un'altra, quella della gente che indaga e reinterpreta; ci vuole una certa empatia ed esperienza, per ottenere l'atmosfera giusta per posare con tanta empatia e naturalezza questo ponte, e probabilmente a tanto giova la loro formazione nel Teatro dell'oppresso, ed un'ancora attuale impegno quotidiano che li lega (anche devolvendo i proventi delle serate) ai Centri di cultura popolare come quelli di Tor Bella Monaca, Afragola, Parco Verde e Troia. Se ci fosse ancora molto più teatro come questo, nelle sale, se queste occasioni non fossero una Scoperta, probabilmente vivremmo in un'epoca nella quale anche personaggi come un boia ed uno scrittore resterebbero seduti, quantomeno, a parlare molto più a lungo.