Prosa
DIARIO PERPLESSO DI UN INCERTO

E alla fine arrivò Bahamut, l…

E alla fine arrivò Bahamut, l…
E alla fine arrivò Bahamut, l’essere supremo, colui che si sottrae al tempo e al giudizio. Il più grande performer di tutti i tempi, Antonio Rezza, e l’artista Flavia Mastrella hanno portato in scena la loro opera più pura. Rispetto alle precedenti rappresentazioni, c’è un cambiamento di rotta nell’impostazione scenica: le opere d’arte di Mastrella assumono una dimensione di profondità, rispetto alla linearità del passato. Le corse laterali e circolari lasciano il passo ad un movimento verticale, sussultorio, fatto di salti ed interiora provate dallo sforzo fisico. Bahamut è uno spettacolo drammatico, che prescinde dall’idea di pubblico, il quale non subisce violenza alcuna. È l’attore ad intervenire direttamente sul proprio corpo, sfiancandolo, concretizzando questo dramma. Le macchine-sculture sono messe a disposizione dell’artista affinché le possa violentare e, al tempo stesso, deturpare anche la propria persona. Un uomo, vestito d’oro, è sdraiato su una pedana al centro di una scatola-giocattolo dalle pareti d’aria. Una struttura tubolare gialla ne delimita la forma e il verde predomina in assoluto. Non si muove. Non pronuncia parola alcuna. La sua voce è un insieme di suoni gravi e aguzzi. Due omini blu vengono in aiuto del paralitico, lo aiutano ad alzarsi, lo trasportano su e giù per il palco, sono a suo completo servizio. La loro presenza trasmette dinamicità alla scena, anteposta alla staticità dell’uomo d’oro. Ma, ecco, si spengono le luci. Un certa atmosfera di irrequietezza si diffonde tra il pubblico; continua il buio e il silenzio diventa assordante. La luce riaccende la speranza e un nano verde è appollaiato in cima al ripiano. Nuovamente si spengono le luci che, in pochi secondi, si riaccendono, e il buffo personaggio ora appare da un lato del palco, ora dall’altro. Usa l’oscurità per il suo movimento e la luce per esprimere il suo giudizio. Come in un montaggio cinematografico, un concatenarsi di scene e personaggi danno corpo alla storia. La pedana diventa il fulcro su cui poggiano gli eventi: un affittacamere decanta i pregi della stanza in cui passare gradevoli momenti di piacere carnale; una donna gravida vagheggia sul futuro predestinato dei sui figli che, a detta sua, diverranno uno monsignore e l’altro ministro dell’interno; un sindacalista combatte senza speranza contro il datore di lavoro, e rinuncia ai propri ideali di lotta di fronte alla tirannia padronale. La scatola è il nostro mondo, quello in cui viviamo senza cognizione di causa una vita alla ricerca della perfezione o del piacere personale. Siamo tutti prigionieri, servi di qualcosa o qualcuno. Siamo noi i veri protagonisti rappresentati nello spettacolo. Siamo delle pedine che giocano alla vita su uno scacchiere indefinito. Milano - Teatro Outoff - 2 novembre 2007
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