Musical e varietà
E PENSARE CHE C'ERA IL PENSIERO

GABER CON LA GONNA

GABER CON LA GONNA

Il teatro-canzone di Gaber non è mai mancato dai palcoscenici italiani in questi anni e la domanda sempre frequente è se sia possibile Gaber senza Gaber. Curioso constatare che sia una donna a fare il Gaber più “vero”, più intenso, al punto da poter affermare con una certa tranquillità che Maddalena Crippa sia Gaber con la gonna, nel senso che lo spettacolo ci è parso il più rispettoso e rigoroso del signor G di quelli visti, anzi l’energia ed il talento della Crippa innervano il testo di nuovi e inaspettati accenti: essere donna come valore aggiunto. Ovviamente, tra i diversi titoli del teatro-canzone, la Crippa ha scelto quello che evidentemente le calza meglio e che condivide di più, rivelando che il teatro-canzone non si declina solo al maschile ma, al tempo stesso, dimostrando che è necessario un talento smisurato come il suo.

Maddalena Crippa non entra, ma irrompe in scena: correndo, microfono in mano. Dopo che la sua voce fuori campo ha raccontato “tutto sopra una sedia”.
“Mi fa male il mondo” è una sensazione comune, “quando fuori dalla tua finestra il cielo si fa più grigio, quando l’amarezza si insinua nei tuoi pensieri e tu ti senti profondamente solo: e allora fai il bilancio della tua vita”. Gaber è abile a muoversi sul piano sociale-politico e, al tempo stesso, su quello personale-intimo: “per fare una storia d’amore vera e duratura occorre scrostare la vernice indelebile con cui abbiamo dipinto i nostri sentimenti”. E poi l’immagine di quella casa a picco sul mare, che pare di vederla: “l’uomo è un animale quieto se vive nella sua tana”. Bisogna avere coraggio, anche nel fallire. E la grandezza di riconoscerlo: “se avessi letto un po’ meglio il mio libretto di istruzioni, vivrei meglio coi miei pensieri e le mie emozioni”.
“Se io sapessi” rimane uno dei momenti più alti dello spettacolo, seguìto dall’uomo cacciatore, l’uomo che insegue la realtà come un cacciatore, perchè la realtà domina tutto, è al centro di tutto: “la realtà, che parola, che passione. Una parola semplice ma piena di sfaccettature, di ambiguità, al punto da non capire di cosa stiamo parlando”.

Frasi che suonano come motti, attualissimi: “quello che ci circonda è una confusione deviante che non ci permette di capire il vero valore delle cose”.
Poi l’elenco di “qualcuno era comunista, perchè...”. La voce sale sulla scia delle note del pianoforte per sottolineare alcuni passaggi, soprattutto quella possibilità di essere felici solo se anche gli altri lo sono. Perché l’uomo ha, innato ed innegabile, il senso di appartenenza. La vera sconfitta è chiudersi nel proprio mondo, allontanarsi da tutto in un tempo tremendo. “In un tempo di rassegnata decadenza serpeggia la paura nascosta nell’indifferenza”.

L’uomo deve ribadire di esserci. E di esserci pensando. Ma anche sognando: “i sogni, specchi fedeli dell’anima”. Diverte il monologo della zattera, metafora della solidarietà: il senso umanitario dell’accoglienza che si scontra con la grande paura della minaccia.
Gaber impone ribaltamenti di prospettiva, in modo da comprendere meglio la realtà che ci circonda: i mastini si insinuano ovunque, “mentre l’Italia cantava”.
E pensare che c’era il pensiero. Il pensiero ha bisogno di un lifting. Massimiliano Gagliardi al pianoforte accenna “Va’ pensiero” da Nabucco. “Il secolo che sta nascendo è avaro nella produzione di pensiero. Invece le opinioni sono sfoggiate senza limite, un mare di parole”. Ma le parole sono essenziali, definiscono il mondo, esprimono i pensieri. “Però invecchiano, e finiamo col parlare di niente”. Quindi il celeberrimo “Cos’è la destra, cos’è la sinistra”: l’ideologia serve a spiegare le azioni, i comportamenti, le decisioni. Ed ecco un altro elenco, quello che “mi fa male”. Prima del successo (meritato) di Fazio e Saviano, Gaber ha portato in teatro gli elenchi.
Agghiaccianti i passaggi sui “giornalisti rispettosi solo dei loro padroni”, “sulla tv italiana e le facce col sorriso di plastica”, sulle “facce da servi” di certi giornalisti e conduttori televisivi. Quando invece le nostre facce mostrano le ferite delle battaglie, anche quelle non fatte. Ma l’Italia ritroverà il coraggio, lo slancio collettivo? Basterebbe capire che un uomo non è tale se non si sente parte di qualcosa. E sul futuro dell’Italia c’è ben poco da dire.
I testi risalgono ai primi anni Novanta, ma riflettono gli accadimenti di queste ultime settimane. Il teatro-canzone di Gaber-Luporini pareva agganciato a quel contemporaneo da cui si originava ma, evidentemente, i due erano talmente acuti e lungimiranti da analizzare quello che allora sembrava una ironica provocazione e che poi, anni dopo, è diventato realtà.

La conclusione è affidata al buio, alle parole: bisognerebbe ritrovare le giuste solitudini, stare in silenzio ad ascoltare, a cercare una curiosità per l’anima. L’attesa è il risultato, la vita è un andar via di cose e persone al cui posto è rimasto il vuoto.

Il pubblico applaude fortissimo, a lungo. Il successo travolgente impone due bis, due medley di canzoni di Gaber presentate a cappella in polifonia: lo Shampoo, la Torpedo blu, Barbera e Champagne fino a “la libertà è partecipazione”. Mostrando appieno il talento di Massimiliano Gagliardi, arrangiatore, e Chiara Calderale,  Miriam Longo e Valeria Svizzeri, coriste. E di Maddalena Crippa: cantante inappuntabile (mezzevoci piene di spessore, colore caldo, tinte molteplici), attrice insuperabile. La Crippa è bravissima, nei momenti di più profonda riflessione, negli accenti commossi, negli spunti ironici e divertenti. Riesce a far ridere, a commuovere, a far riflettere consapevolmente. Dice tutto stando immobile su una sedia. Con quella voce irripetibile e quelle mani mobilissime.

Lo spazio è vuoto ma sapientemente illuminato. Rigorosamente neri gli abiti di scena, essenziali: la parola è al centro di tutto. Questo è il teatro che ci piace vedere, un teatro necessario: l’unico possibile.

Visto il
al Nuovo Giovanni da Udine di Udine (UD)