Spoleto, Museo Civico, “Nietzsche Ecce Homo”, di Friedrich Wilhelm Nietzsche
COME SI DIVENTA CIO' CHE SI E'?
Francesco Rapaccioni intervista Valter Malosti
F.RA: Quali sono i segni distintivi del tuo linguaggio teatrale?
VM: Secondo me la trasversalità, l’utilizzo di diverse arti nel comporre lo spettacolo. Il lavoro che faccio io in teatro è simile a quello del cinema, ci sono tante figure di autori che collaborano con me al progetto e io utilizzo queste diverse arti per creare lo spettacolo. Al centro di tutto c’è il corpo dell’uomo, dopo di che si utilizzano le luci, l’arte visiva, la scrittura i suoni e la musica, soprattutto. Tutto con al centro il corpo, che è il magnete di tutto questo lavoro.
F.RA: Questo è il tuo secondo lavoro su Nietzsche, come mai?
VM: Nasce tutto da quando ero bambino. Io sono nato a Torino, figlio di immigrati, e quando si è bambini a Torino Nietzsche è una figura leggendaria, perché si parla di lui come di quello che abbracciò un cavallo, anche se magari a quell’età non si sa nulla della sua filosofia. Ci sono alcuni aneddoti leggendari su di lui e una targa che lo ricorda in pieno centro, abitava in un posto molto interessante davanti alla piazza Carlo Alberto, quindi vedeva quella statua del cavallo. Poi, mentre studiavo altre figure del Novecento, ad esempio Artaud, ci ho trovato molte affinità. Tra l’altro, curiosamente, quando Nietzsche abbraccia un cavallo, quella era una forma ante litteram della performance e pensa che nello stesso anno e nello stesso mese Van Gogh si taglia un orecchio, gesti performativi che me li accomunano. E Artaud ha scritto “Van Gogh ovvero il suicida della società”, dove nella prefazione parla di Nietzsche... Insomma un corto circuito di menti che sono interessanti da unire per rappresentare una valanga, uno svuotamento delle viscere interiori della coscienza.
F.RA: Infatti in scena rimane lo scheletro del cavallo.. E il collegamento con “L’ultimo nastro di Krapp” che tu indichi nelle note di regia?
VM: Anche Beckett in qualche modo utilizza, in maniera minimale, come è nella sua scrittura, lo svuotamento come categoria, anche se lì tutto era setacciato attraverso un finissimo lavoro di riduzione all’osso della carne poetica e linguistica, ma ci sono molte cose in comune, come se Nietzsche andasse a riprendere le bobine di Krapp, tutti i files dell’esistenza per metterli insieme.
F.RA: Come si diventa ciò che si è?
VM: E chi lo sa? E’ un lavoro continuo, una domanda che uno deve costantemente avere sotto gli occhi. Anche Nietzsche nell’ultimo periodo era molto interessato alla filosofia orientale ed a Schopenauer (da cui poi si allontanerà) e questo suo “come si diventa ciò che si è” è molto interessante in collegamento con l’arte orientale, col Buddha, col mondo animale, in senso complesso e con ruolo panteistico rispetto alla filosofia europea.
F.RA: Progetti per il futuro?
VM: “Disco Pigs” andrà a Berlino alla Volksbühne a ottobre e poi girerà un pochino l’Italia. Invece questo Nietzsche, già fatto a Torino e Asti, è sempre uno spettacolo nuovo, perché ricreiamo queste due stanze ogni volta in uno spazio diverso. Questo a Spoleto è un luogo perfetto, perché sono le viscere di un teatro, ma credo siano anche le viscere di una chiesa, a quanto vedo: Cristo e Dioniso, proprio perfetto per Nietzsche.
Visto a Spoleto, Museo Civico, il 5 luglio 2007
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Chiostro San Nicolò
di Spoleto
(PG)