Ecuba è uno di quei personaggi che, a cavallo tra mitologia e letteratura (teatrale e non solo), si staglia altissima nella galleria di donne fiere e forti. Caduta in disgrazia, da regina di Troia a schiava degli Achei, è testimone dell'ineluttabile storia (non destino che è concetto estraneo ai greci) che la pone dinanzi la morte di sua figlia Polissena, per volontà dei greci vincitori, e di suo figlio Polidoro, per mano amica (quella di Polimestore, re di Tracia) e dunque ben peggiore di quella per mano nemica.
Una doppia tragedia indissolubilmente legata alla sua tempra di donna che la condurrà a uccidere, per vendetta i figli di Polimestore (interpretati, nella messa in scena della compagnia Gli Ipocriti, dagli stessi attori che interpretano i due figli di Ecuba, a sottolineare l'oscena inutilità della vendetta), e ad accecare il loro padre.
Ma come parlare allo spettatore di oggi della tragedia di Ecuba, si chiede Carlo Cerciello, il regista di questa interessante messa in scena, in una società che, sanando l'inconciliabile conflitto su cui ogni tragedia si basa (secondo le parole di Goethe) ha rinunciato al tragico per sempre? Come restituire il significato autentico della tragedia delle morti dei figli di Ecuba, continua Cerciello, anestetizzati da una tv che ha fatto della sofferenza umana un segno estetizzante? L'idea, semplice ed elegante, è quella di affiancare all'impianto tragico una messa in scena allusiva, moderna, che estrapoli la tragedia dal suo contesto storico e la inserisca in un alveo universale. Da una parte le troiane ridotti in schiavitù che agiscono secondo i canoni della tragedia, nei gesti, nel lessico e negli abiti, dall'altra gli Achei in abiti borghesi con dei grembiuli da macellatori, sporchi di sangue.
Al centro della scena campeggia un'ara ricoperta di bianche piastrelle da mattatoio (e, come se non bastasse, sulla parete di fondo, appare il disegno gigante di una mucca su cui sono segnati i vari tagli di carne...) dove verranno esposti prima Polissena e poi Polidoro (alla fine appesi entrambi per i piedi come quarti di bue). Le parti del coro sono restituite da due voci recitanti (le bravissime Autilia Ranieri e Imma Villa, che vanno in un perfetto unisono), mentre Caterina Pontrandolfo, che interpreta l'ancella di Ecuba, lega le varie strofe della tragedia con la sua bella voce con dei canti suggestivi e congrui alla storia (su musiche di Paolo Coletta). Ognuno recita con una solennità autentica che non diventa mai posa dando alla tragedia un gusto atemporale, universale. Queste due matrici diverse sono elegantemente presentate nell'incipit con la comparsa del fantasma di Polidoro, dietro una tenda, che cela l'ara-mattatoio, dietro la quale, con un gioco di luci eleganti, dell'attore vediamo solamente l'ombra proiettata sulla tenda, ovvero la sua figura, completamente nuda (escluso un sospensorio), che rimarrà presenza-testimone della scena fin quando non rientrerà nel racconto quando il suo corpo verrà ritrovato sulla spiaggia.
Quando Ecuba riconosce il cadavere di Polisseno, apre la bocca per urlare ma nessun suono ne emerge emerge diventando una maschera di muta disperazione (un momento di teatro puro che costituisce per chi vi ha assistito un ricordo indelebile). Isa Danieli ha l'intelligenza e la forza di grande attrice da recitare il suo ruolo di disperazione a levare con dignitosa sobrietà restituendo così in maniera efficace la disperazione che la travolge.
Azzardata e non del tutto convincente invece la scelta di far recitare gli Achei in maniera disinvolta e cinica (togliendo qui e là dal testo quei pochi tratti che davano ai Greci qualche briciola di umanità in più). Bastavano forse i loro costumi a renderne la diversità senza indulgere anche in una recitazione che manca del tutto di solennità. Altrettanto poco convincente è la recitazione di Franco Acampora nel ruolo di Polimestore per cui si può dire che (con l'esclusione di Raffaele Ausiello che interpreta Polidoro) gli attori sembrano inadeguati se confrontati alle attrici.
L'allestimento però convince e colpisce nel segno sia nell'impianto registico che nelle scene (di Roberto Crea) e nelle belle luci di Cesare Accetta.
E durante gli applausi finali le urla estasiate del pubblico accarezzano Isa Danieli che ringrazia, commossa, ricevendo un po' delle emozioni che ha saputo regalare con tanta generosità.
Visto il
16-02-2010
al
Eliseo
di Roma
(RM)