Prosa
EDIPO A COLONO

Edipo a Colono negli spazi dell’anima: la scena di Kokkos a Siracusa

"Edipo a Colono"
"Edipo a Colono" © Gian luigi Carnera

Mai come nella presente edizione, il dittico di tragedie su cui s’incentra per la gran parte il Festival del Teatro Greco di Siracusa rispecchia un’antinomia radicale quanto a scelte drammaturgiche, diverse e talora opposte modalità interpretative che possono darsi di un testo classico: contraddittorio e flamboyant - come nello stile della Dante - per quanto attiene l’Eracle, solenne secondo tradizione nel caso dell’”Edipo a Colono” diretto da Yannis Kokkos, un fedele rispecchiamento dell’atmosfera crepuscolare incombente sull’ultimo lavoro di Sofocle, rappresentato postumo.

Con ”Edipo a Colono”, in realtà, l’ultranovantenne tragediografo ateniese, lungi dall’elargire un rassicurante commiato catartico grazie alla riabilitazione in mortem del parricida ed incestuoso Edipo, propone una serie di complessi nodi tematici attraverso uno sviluppo scenico denso di insidie, in quella che può essere definita una “non tragedia”. Privo quasi del tutto di azione ed intreccio -elementi connotanti il dramma attico secondo i canoni aristotelici- il lavoro procede infatti per quadri giustapposti, complesse sequenze dialogate da cui dovrebbero trasparire l’elaborazione dialettica, nonché le varie identità caratteriali gravitanti intorno al protagonista assoluto: un Edipo cieco e ramingo qui sostenuto strenuamente da Massimo De Francovich, che tiene le fila dello spettacolo e lo sorregge con ispirazione.


Edipo a Colono nel segno dell’ambiguità

Il dramma si fonda infatti sulla forza chiarificatrice del logos, ovvero della parola intesa come strumento raziocinante in grado di svelare ambiguità e mutevolezza insite nella natura umana, tale da non prestarsi a giudizi definitivi: un assunto da cui deriva la centrale caratterizzazione di Edipo - al tempo stesso colpevole di crimini orrendi ed innocente per assenza di consapevolezza- quale inerte pedina nelle mani di forze altre, che lo annichiliscono per poi risollevarlo e fare della sua sepoltura addirittura un vessillo sacrale e protettivo per la città che vorrà accoglierlo.

La particolare lettura registica di Kokkos opta però per la versione più canonica dei punti critici, appiana il piglio arguto, preferisce leggere con uniforme raffinatezza l’interazione e le movenze che diversamente potrebbero regalare colore ai personaggi, rendendoli più umani. Così, al di là di alcuni picchi scenici, la rappresentazione punta essenzialmente all’evocazione visivo- percettiva dei contenuti e affida al linguaggio scenografico il compito di mostrare nel continuo superamento di confini fisici ed immateriali, nella metamorfosi di uomini e cose, un principio di destrutturazione del tradizionale dramma di supplica ed un teatro ormai pronto ad accogliere il cambiamento.



La scena di Kokkos tratteggia gli spazi dell’anima

Intense suggestioni sinestetiche e notevoli moltiplicazioni dei piani narrativi originano proprio dall’uso accorto degli spazi scenici, che vengono abitati da coro (gli ottimi allievi delle Accademie dell’Istituto del Dramma Antico) e personaggi ben oltre i confini abituali, raccontando di varchi superati, confini abbattuti nel segno di una comune fratellanza. Tagli netti, controluce, illuminazione obliqua (luci a cura di Giuseppe Di Iorio) tratteggiano ambientazioni livide e ombrose che mutano in pendant con le complicate scacchiere di movimenti descritti delle componenti corali, sospinte in ogni direzione tra scena e cavea, a personificare -nell’ ordinata ricomposizione geometrica- la libera molteplicità democratica.

Una pluralità espressiva che investe pure la componente musicale (notevoli i canti polifonici di Alexandros Markeas), senza però scalfire l’idea complessiva di uno spettacolo che non interroga il mito per rimodellarlo e riscriverlo secondo un sentire problematico, ma lo ripropone quale paradigma immutabile, di neoclassico nitore, dove ogni contrasto approda a risoluzione nell’armonico equilibrio tra le parti.

Visto il 11-05-2018
al Greco di Siracusa (SR)