Franco Branciaroli non è solo Edipo nell’opera di Sofocle in scena al Teatro Argentina. La tragedia che ha preso atto Martedì 9 Novembre per la prima volta e che ricalcherà lo stesso palco fino al 21 del mese ha ospitato un Edipo poliedrico, un’Edipo Giocasta e un’Edipo Tiresia. Così gioca Calenda, regista dell’Edipo uno e trino, origine della colpa prima della colpa cristiana. Con questa significativa trovata il regista ha quindi buon gioco nel richiamare ad Arte il suo ispiratore e ispirato Freud in una tensione che nasce dall’arte per giungere alla riflessione e tornare arte. Le stesse scene di Pier Paolo Bisleri non fanno che tenere vivo il gioco: gli spazi geometrici a destra, a sinistra e sul fondo, quali ritagli di scena, scuri per lo più sono la casa del coro e le condizioni di possibilità per la concentrazione della colpa sul centro sinestetico della vicenda.
Quanto descritto fin ora altro non è che la massima concentrazione di Edipo su se stesso. L’effetto sgorga dalla tutto teatrale che ravviva la scena: se Edipo è Giocasta e Edipo è Tiresia (non può essere Laio a causa di limiti drammaturgici), il subconscio freudiano cui tanto ha tenuto Calenda si rovescia nella coscienza del pubblico. Tale però non è per Edipo, vissuto dagli dagli spiriti del suo subconscio che vuole emergere (il centro della scena è un lettino per la pratica psicanalitica) ma che resta celato sotto la coscienza di un manichino girato di spalle sulla scena. A rendere il conto di tale interpretazione il finale catartico che vede il manichino girarsi: è lo stesso Edipo, la sua coscienza che si gira e guarda in faccia l’inconscio, ora vede la verità ma solo in quanto ceca.