Prosa
EDIPO RE

Un Edipo riuscitissimo

Un Edipo riuscitissimo

Il teatro attico proponeva ai cittadini ateniesi soluzioni trasfigurate dal racconto mitico a problemi di ordine sociale e antropologico che i cittadini erano chiamati ad affrontare collettivamente.
Alessandro Vantini, regista, traduttore e interprete, restituisce questa dinamica grazie a una ricerca drammaturgica che si basa sulla musica, sul canto, sul movimento, sui costumi e sulla recitazione e attraverso tutti questi elementi arriva alla parola del testo. Un percorso contrario a quello cui solitamente ci si avvicina alla tragedia greca che vede il testo come unico elemento importante e tutte le altre componenti accessorie.
La scena si presenta spoglia, due quinte "strette" che contribuiscono a dare profondità al palco del teatro Sala Uno già di per sè notevole. Ai lati, in rigorosa progressione prospettica, dei pali di legno scuri. Di proscenio il musicista Carlo Cossu suona strumenti di diversa provenienza geografica (dal Bouzouki greco al Didgeridoo australiano) all'inizio affiancato dall'attrice Patrizia Bettini, che suona un piccolo strumento a mantice. 
Gli attori entrano in scena e, su musiche mediterranee di Tino Rinesi, intonano un canto in greco antico, che verrà ripetuto spesso, tra una scena e l'altra.
Altri interventi musicali costituiscono una partitura ritmica: tramite strumenti a percussione, o semplicemente battendo a terra i bastoni di scena che diventano strumenti musicali, mentre Carlo Cossu suona il Didgeridoo. Al ritmo musicale si accompagnano i movimenti del corpo a metà tra danza e rituale para-religioso, come i cenni di flagellazione che Edipo si infligge dopo essersi accecato o i movimenti compositi del coro che ricordano certi riti pagano-mediterranei, dal tarantismo ai gesti delle prefiche.
Notevoli anche i costumi, di Marina Sciarelli, da quelli di base, un semplice pantalone scuro e una  sorta di maglia di tessuto grezzo, quando gli attori interpretano il coro, al fasto dei costumi che individuano i vari personaggi (indossati dagli attori sopra quello di base). Creonte indossa una sorta di abito-mantello  dalle tinte porpora cucito con un materiale  normalmente non usato in sartoria che conferisce al costume un'aura di esotismo quasi extra-terreno. Giocasta indossa una serie di abiti sovrapposti,  giocati su colori e forme etniche, con tessuti che pendono sopra altri tessuti degni davvero di una regina. Molti costumi sono impreziositi da delle splendide maschere, di varie fogge  (che in alcuni casi divengono dei veri e propri elmi), forgiate in diversi metalli, ognuna di colore diverso, mentre l'indovino Tiresia, cieco,  ha davanti agli occhi  due pendenti di metallo (e  fasce di tessuto istoriato di scritte in greco gli ammantato il corpo).
Tra la musica e il movimento rituale,  che costituiscono la migliore trasfigurazione possibile del coro del teatro attico, e i costumi  che rimandano all'artigianato e quindi alla tradizione, ma anche a un sapere che si sta dimenticando, si instaura una felice sinergia etnica mediterranea unica nozione che lo spettatore moderno possiede, che si avvicini in qualche modo alla tradizione del teatro greco, messa in scena non come sapere che si possiede ma come sapere che si è consapevoli di stare perdendo ma del quale si concepisce almeno lo spessore e l'importanza.
Alessandro Vantini costruisce così non solo un intero universo diegetico che si presenta allo spettatore con grande credibilità, restituisce anche l'eco culturale e l'impatto emotivo di un'intera civiltà.
La traduzione del testo (dello stesso regista), tutt'altro che aulica, è pensata per la recitazione degli attori e per la comprensione dello spettatore, senza per questo rinunciare alla fedeltà al testo greco. Una traduzione improntata anche a una sonorità recitativa delle parole, che rende, grazie all' interpretazione degli attori, i dialoghi dei personaggi un discorso spontaneo e non artefatto.
Vantini interpreta un Edipo solido, preciso, ricco di sfumature, mai esagerato, che attinge sì dalla tradizione classica dei grandi attori senza ammantarsene però. In scena vediamo Edipo e non l'attore Vantini che fa Edipo. Patrizia Bettini interpreta Giocasta con una chiave recitativa a levare, scelta coraggiosa, non solo perchè va contro la tradizione interpretativa, ma per la difficoltà di esecuzione, con un risultato straordinariamente efficace. Quando Giocasta, per esempio, comprende che Edipo è suo figlio, Bettini si limita a indietreggiare, impercettibilmente, restituendo lo sgomento  della madre che ha appena scoperto di aver giaciuto col figlio, con una reazione di sopraffazione totale che non le lascia nemmeno la forza  di urlare, ingenerando nello spettatore un senso di angoscia che nessuna reazione dinamica avrebbe suscitato con la stessa efficacia. 
Convincenti anche gli altri interpreti, che si cimentano oltre che con i personaggi anche col  canto e movimenti coreografati e ritmici del coro.
Un Edipo riuscitissimo questo di Vantini dunque, seducente, che sa farsi seguire  nella complessità delle questioni che Sofocle pone in campo e nell'ineluttabilità di un destino più volte rimandato. Uno spettacolo di notevole eleganza, intelligente, colto, di una cultura che ha radici popolari e non borghesi però, e che coinvolge ed emoziona anche per questo.
Insomma uno spettacolo da non perdere, in scena fino al 30.

 

Visto il 08-01-2011
al Sala Uno di Roma (RM)