Lo spettacolo è tratto dall’omonimo libro di Nicolai Lilin, "Educazione siberiana", primo di una trilogia, che ha avuto un successo travolgente, è stato il caso letterario degli ultimi anni: venduto in 24 paesi stranieri e tradotto in 19 lingue; ora rivive in trasposizioni teatrali e cinematografiche: sul grande schermo questo racconto di formazione ha portato la firma di Gabriele Salvatores, a teatro si deve a Francesco Di Leva ed Adriano Pantaleo l’idea di proporre la saga siberiana in un allestimento diretto da Giuseppe Miale Di Mauro.
Lo spettacolo nasce infatti dall’entusiasmo dei due attori – Francesco Di Leva e Adriano Pantaleo – per il romanzo di Nicolai Lilin, che ha vissuto in prima persona il clima di persecuzione che gruppi di dissidenti dal regime russo hanno subito nel corso di alcuni decenni a partire dagli anni Trenta fino ad oggi.
Un’impresa coraggiosa e non priva di rischi cimentarsi con una materia letteraria non concepita per la scena, Educazione Siberiana è il ritratto di una comunità, i criminali onesti di Fiume Basso, il cui motto è “se vuoi la pace preparati alla guerra”. Educazione Siberiana è un crudo resoconto di significativa appartenenza agli Urka siberiani, ultimi discendenti di una stirpe guerriera feroce ma piena di onore.
Lilin nasce in Transnistria, un territorio dell’ex Unione Sovietica oggi Moldava, autoproclamatasi indipendente nel 1990, senza mai ricevere riconoscimenti ufficiali; è una terra di confine, dove la criminalità e la violenza dominano incontrastati - guerra tra bande e polizia, tra ragazzi e sbirri - e dove si è soliti marchiare sul corpo, con grossi tatuaggi, le tappe fondamentali della propria vita. La criminalità dilagante è l’unica certezza per un bambino come lui cresciuto nel culto delle armi, che vengono esposte in ogni casa ai piedi delle icone religiose, come fossero anch’esse impregnate di sacralità. In un certo senso Educazione siberiana è un moderno racconto di formazione. Da un lavoro a stretto contatto con Lilin, la compagnia NesT diretta da Giuseppe Miale di Mauro ha tratto uno spettacolo, strutturato come una discesa nell’inferno dei dieci comandamenti dell’educazione degli Urka.
L’iter della rappresentazione non è una semplice trasposizione del testo letterario, ma è un percorso che si delinea e si sviluppa attraverso le scene del dramma, mettendo in evidenza una serie complessa di situazioni tragiche: dalle persecuzioni staliniane ai gruppi di ribelli alla dittatura, fino alla graduale corruzione che si impadronisce anche di questi rappresentanti pressoché eroici di resistenza, che cedono alle lusinghe del consumismo e vi si adattano fino a gestire il giro della droga - in accordo con le forze dell’ordine corrotte - e a occuparsi perfino di un traffico di armi che riguarda l’intero universo affaristico internazionale.
Nella vicenda, limitata a frange sovietiche confinate in una sperduta lingua di terra siberiana – la Transnistria, si delinea metaforicamente un clima di corruzione e compromesso, di degrado e svilimento dei valori che appartiene anche a noi, che riguarda anche la nostra realtà, sia pure non avendo ancora assunto i toni esasperati ed estremi del testo portato in scena, dove l’assassinio di un fratello è il culmine di una lunga trafila di delitti.
Ciò che colpisce di questo lavoro è l’assoluto entusiasmo e impegno che muove questi giovani attori e il loro regista, che insieme all’autore del romanzo si sono impegnati a riscrivere le scene, nelle linee essenziali funzionali allo spettacolo, cercando di restituire al pubblico l’idea di una situazione al limite dello scandalo, che coinvolge il mondo intero.
Da questo dramma, sviluppato in maniera efficace e puntuale, emerge prepotentemente una profonda e radicata dimensione morale ed etica: forse è un monito, una profezia del futuro che potrebbe toccare anche a noi?! Il volto segnato dal dolore e dalla sofferenza di Luigi Diberti, protagonista superbo, che interpreta il personaggio del vecchio saggio, del capo di famiglia, Nonno Kuzja, che guida - per un certo tratto – l’esistenze dei giovani nipoti travolti poi dagli eventi, è fortemente espressivo e restituisce una dimensione sacrale che appartiene alla tradizione famigliare russa. Il suo contraltare è il giovane nipote destinato al sacrificio, magistralmente interpretato da Adriano Pantaleo.
Il nonno dice al giovane nipote, che vuole diventate un tatuatore che “Un tatuaggio non è semplicemente un disegno. Vedi, un tatuatore è come un confessore. Lui scrive la storia di un uomo sul suo corpo. Le vite dell'uomo possono sembrare tutte simili. Si nasce, si cresce, ci s'innamora, si fanno figli, si lavora, si muore. Alcuni si godono la vita, altri no. Ma noi Siberiani, Kolìma, la combattiamo. Dovrai dare il meglio di te per imparare. Per molti mesi farai soltanto una cosa: osservare”.
Da elogiare lo strepitoso cast di attori per la forte “adesione al contesto” e la veridicità che riescono a portare in scena. Impeccabile l’interpretazione di Elsa Bossi – una madre austera e sollecita – che parla un perfetto russo pur essendo italiana, degne di nota l’intensa interpretazione di Ivan Castiglione, che ben rappresenta la malvagità e l’avidità dei soldati corrotti e le interpretazioni vibranti e vere di Adriano Pantaleo e Francesco Di Leva, nel ruolo rispettivamente dei due nipoti di Nonno Kuzja (Luigi Diberti), Kolima e Yuri, che sono stati in grado di rendere la complessità di questi personaggi e la pavida debolezza che a tratti li caratterizza.
“La fame viene e scompare, ma la dignità, una volta persa, non torna mai più” dice Nonno Kuzja, uno dei capi storici degli Urka siberiani, discendenti di un'etnia di guerrieri insediatisi nella zona di Fiume Basso - ultima tappa della loro fuga dalla Siberia. Una comunità di “criminali onesti”, gente capace di brutalità efferate ma guidata da un codice morale antico e incorrotto, scritto sulla pelle di ognuno, con dei tatuaggi che tracciano la storia di ogni singolo individuo, predicendone il destino. Un codice morale, una linea etica che la Perestrojka sgretola progressivamente insieme all’impero sovietico.
“Il mondo ora è grande! Il cupo manto della dittatura è stato squarciato e vivo dev’essere il nostro esercizio di libertà per impossessarcene!". Yuri viene ammaliato dalle illusioni del mondo capitalista e si lascia sedurre dalle sue molteplici tentazioni. La sua spregiudicata e cieca ambizione gli fa voltare le spalle alla sua famiglia, ai valori con cui è stato cresciuto, all’etica delle tradizioni, questa spirale di perdizione e male lo conduce fra le braccia della polizia corrotta, criminali disonesti e avidi che abusano del potere per averne ancora di più. Ma Yuri sa perfettamente cosa sta facendo, sa chi sono i suoi amici e i suoi nemici, sa come far sprofondare Fiume Basso, distruggere la comunità Urka e minare l’autorità e l’autorevolezza dei Vecchi, i capi della comunità; non si farà scrupolo di far scontare le proprie colpe al fratello Boris (Kolìma) ed al cugino Mel, lasciando così placare in cella la loro sete di vendetta.
Il nonno Kuzja ricordava sempre a Boris: "Kolìma, dobbiamo avere rispetto per tutte le creature viventi. Eccetto che per la polizia, la gente che lavora nel governo, i banchieri, gli usurai e tutti quelli che hanno il potere del denaro e sfruttano le persone semplici. Ti dico, rubare a queste persone è permesso. Ma ricordati: chi vuole troppo è un pazzo. Un uomo non può possedere più di quanto il suo cuore possa amare".
La soluzione scenografica a più livelli è funzionale allo spettacolo, risultando accattivante ed efficace, infatti i pannelli mobili che salgono e scendono rendono pienamente l’idea della progressiva oppressione, dello spaesamento indotto da cambiamenti sociali e politici troppo irruenti e violenti, dello svilimento di tutti i principi etici e morali, fino alla morte, fisica e morale. Inoltre questa scenografia mobile e a più livelli riesce a illustrare in alternanza l’interno della casa e l’esterno delle carceri e del potere militare.
La regia è sicura e ben calibrata, riesce a mantenere un costante livello di tensione drammatica e di patos, ed è ben sostenuta da una recitazione d’impatto, viscerale ed intensa. Educazione Siberiana è una sorta di potente profezia di ciò che il mondo che conosciamo e in cui viviamo potrebbe diventare in un futuro prossimo: un mondo travolto da un consumismo estremo, corrotto, giunto a un punto di non ritorno, in cui leggi etiche e morali hanno perso senso e significato.
“Le persone credono cha la quantità di denaro o il successo nella vita dipendano da fortuna o sfortuna, mentre in realtà tutto quanto ci accade e tutto ciò che possediamo è commisurato a quanto la nostra anima può sostenere…È folle volere troppo ...un uomo non può possedere più di quello che il suo cuore può amare.”