Lirica
ELEKTRA

Elektra negli anni Quaranta

Elektra negli anni Quaranta

Elektra di Richard Strauss giunge al Comunale di Bologna, dove fu messa in scena solamente nel gennaio 1969, e per la prima volta vi viene rappresentata in lingua tedesca, con una produzione internazionale firmata da Guy Joosten per il Gran Teatre del Liceu di Barcellona e La Monnaie di Bruxelles, dove è stata in cartellone rispettivamente nel 2009 e nel 2010. Chiaramente tratta dall’omonima tragedia sofoclea, l’opera debuttò a Dresda nel gennaio 1909 e costituisce l'apice della fase espressionista del compositore, il quale delinea un indimenticabile ritratto di personaggio femminile monumentalmente tragico che muore in preda al delirio durante una danza dionisiaca dopo aver finalmente assistito alla tanto agognata vendetta portata a termine dal fratello Oreste per la morte del padre Agamennone.

Hofmannsthal stesso, autore del libretto, si raccomandava di evitare allestimenti che rievocassero archeologicamente la classicità e proprio su questa linea procede il regista che decide di ambientare la vicenda negli anni Quaranta del Novecento. La scena si apre su uno spogliatoio dotato di armadietti di metallo in cui le ancelle, tramutatesi in violente secondine di regime, si cambiano d’abito e indossano le loro grigie e mascoline divise con cui andare al lavoro, trovando il tempo per picchiare e rinchiudere in uno degli armadietti l’ancella favorevole a Elektra. Ben presto l’ambientazione cambia e ci si trasferisce all’interno di un enorme imponente locale, forse un cortile, certamente male in arnese, con muri grigi, porte di lamiera, una garitta per le sorveglianti, una scala che consente l’accesso a un ballatoio praticabile. Lo spazio, di sicurissimo effetto e di grande impatto, è simile per certi versi a quelle enormi fabbriche o centrali elettriche dismesse della vecchia Berlino est, oggi sempre più oggetto di recuperi di vario genere, cariche di squallore, ma al contempo di una grandiosità indiscussa. Proprio sotto la garitta Elektra si è ritagliata un suo spazio privato occupato da un divano stile impero di fattura classicheggiante sotto il quale custodisce gelosamente in una valigia l’ascia simbolo del suo desiderio di vendetta. Klytämnestra è, invece, donna di straordinaria classe ed eleganza, adorna di vari fili di perle e ormai costretta ad appoggiarsi a un bastone, senza per questo perdere la sua altera dignità. Le due donne in realtà, come bene spiega il regista in una intervista rilasciata a Damià Carbonell, hanno tratti simili, entrambe hanno vissuto anni in preda a sentimenti di violenza e vendetta e, proprio per questo, la madre, che ben comprende i pensieri della figlia, ne prova quasi terrore. E proprio la vendetta sul finale assorbe tutto: con l’alzarsi della parete di fondo appare l’interno del palazzo, pieno di cadaveri e con i muri imbrattati di sangue, in cui la protagonista si reca per poi spirare fra le braccia del fratello.

Elizabeth Blanke-Biggs è una Elektra di tutto rispetto che ben affronta le asperità della parte: la voce ha il giusto volume, il timbro presenta un bel retrogusto scuro adatto al ruolo, l’acuto è solido e squillante e il personaggio è ben tratteggiato in quella sua lucida follia ammantata di una furia più interiore che esteriore. Sabina von Walther è una Chrisothemis dilaniata dalla tragedia imminente, forse desiderosa di trovare una via di fuga, per lo meno per sé, anch’essa scossa dal sottile file rouge dell’isteria che pervade l’intera famiglia: l’emissione è ben controllata, curati gli accenti. Notevole la Klytämnestra di Natascha Petrinsky, personaggio pervaso da una tensione costante e totale, il volume è discreto ma straordinari appaiono soprattutto il dominio del mezzo e la capacità interpretativa. Voce scura e ben timbrata per l’Oreste di Thomas Hall, giustamente autorevole e deciso come si addice al personaggio. Al loro fianco l’adeguatissimo Aegisth dall’atteggiamento smargiasso di Jan Vacik. Con loro le Ancelle di Alena Sautier, Eleonora Contucci, Paola Francesca Natale, Constance Heller, Daniela Denschlag, Eva Oltiványi, il Precettore di Orest Luca Gallo e il Giovane servitore Carlo Putelli.

La bacchetta di Lothar Zagrosek dà la giusta lettura drammatica della partitura in pieno accordo con quanto avviene sul palcoscenico, sottolineando il crescendo costante di tensione che sfocia nell’intensissimo finale e ben evidenziando, soprattutto durante il colloquio fra Elektra e Klytämnestra, l’alternarsi di astio, insinuante ironica bonomia, sfrontata parresia e dedizione maniacale a un’idea che vede nell’incontro delle due donne quasi uno scontro fra titani intriso di  palpabile dolore.

Visto il
al Comunale - Sala Bibiena di Bologna (BO)