Firenze, teatro Comunale, “Elektra” di Richard Strauss
LE OMBRE DI ELEKTRA
Il libretto di Elektra, tratto dall'omonima tragedia di Sofocle, segna l'inizio della collaborazione fra Hofmannsthal e Strauss, affini in modo unico quanto a cultura e temperamento. Questa Elektra è priva del pathos e dell'orrore religioso che aveva nella tragedia greca: assetata di vendetta, si erge sullo sfondo cupo di fatali delitti in preda a deliri. E sulla vendetta Robert Carsen costruisce la sua regia, anzi sul potere distruttivo del sentimento di vendetta vissuto da Elektra. Che qui agisce con un coro di trenta replicanti, amplificazioni di un dolore straziante, ombre di un dolore incontenibile, che si moltiplica, satura l'aria. La vicenda si svolge in uno spazio ermeticamente chiuso, claustrofobicamente cupo, senza porte né finestre, senza luce (scene Michael Levine, costumi Vazul Matusz, luci Robert Carsen). Un nero senza tempo e senza luogo. Un nero che è per sempre. Il nero nell'anima che anela vendetta perchè senza non può vivere. Pareti verticali altissime prive di aperture, semicurve nella parte inferiore, in cui è impossibile arrampicarsi senza scivolare indietro, da cui non si esce. Terriccio sul pavimento, dove si apre una voragine, la tomba di Agamennone che è al tempo stesso la soglia del palazzo degli Atridi. Le luci sono crude, disegnano sulle pareti perturbanti giochi di ombre, bianco e nero. Ombre che si allungano, si rincorrono, si moltiplicano, si sovrappongono.
Robert Carsen scava nell'interiorità di Elektra; i personaggi appaiono come estensioni della psiche della protagonista e si materializzano solo nel duettare-duellare con lei: Elektra e il cadavere di Agamennone, Crisotemide, Clitemnestra, ancora Crisotemide, Oreste, Egisto). Elektra è sempre in scena, accompagnata da una trentina di replicanti che ripetono e, così facendo, amplificano smisuratamente i suoi gesti e i suoi sentimenti. Le replicanti si muovono con efficacissime, misurate coreografie, gesti e movimenti, passi, posture, posizioni, a cominciare dall'apertura del sipario: Elektra distesa a terra, accanto alla tomba-soglia di casa, le replicanti che girano in tondo intorno a lei, un coro erinnico di vesti nere e lunghe e di chiome scure sciolte sulle spalle. Poi i pugni serrati in alto, le mani a stringere la testa, braccia che si allungano in un rito isterico, scatti di gambe, mani protese. E il finale in cui, ebbre di gioia, ondeggiano dionisiacamente. Replicanti che hanno la presenza, ma anche l'inconsistenza, delle ombre.
Poderosa la compagnia di canto. Successo personale di Susan Bullock nel ruolo eponimo, una resa vocale e attoriale di particolare intensità e ricchezza di colori, che scava con convincente efficacia nell'interiorità della protagonista, a momenti erinnica a momenti lirica. Di forte impatto lo stringere il cadavere del padre con affetto infinito, con rimpianto umanissimo e al tempo stesso isterico; quel cadavere poi sollevato come in processione dalle replicanti, che faranno la stessa cosa alla fine con il corpo di Elektra: con la vendetta il cerchio si chiude.
Grande successo anche per Christine Goerke, che si cala molto bene nella umanità di Chysothemis (“sono una donna e voglio un destino di donna”), sottolineandone la dolcezza e i rimpianti con grandissima intensità e potenza vocale.
Agnes Baltsa è una Klytämnestra bionda e sensuale, che oscilla senza platealità tra paura e ferocia, una donna fragile in preda al rimorso, vestita di bianco, che cerca di sedurre, quasi vittima di eventi incontrollabili. Trasportata sulle spalle dalle replicanti, sopra un candido letto, la Baltsa sembra galleggiare come un'apparizione (il libretto viene adattato, il “non voglio udirvi” diventa “voglio scendere”). Il duetto con la figlia assume le caratteristiche di un duello, Klytämnestra è accerchiata dalle replicanti ed Elektra che cammina a grandi passi impedendole la fuga.
Convincente nel suo smarrimento e, al tempo stesso, nel fermo proposito di uccidere la madre e il di lei amante, l'Orest di Matthias Goerne dalla voce scura, un uomo a cui il destino non ha concesso alternative. Convincente nel suo apparire debole, strappato dall'alcova in pigiama e vestaglia, a piedi nudi, l'Aegisth di Stanford Olsen.
Sublime la direzione di Seiji Ozawa, che ha diretto un'orchestra in stato di grazia. La partitura è intricata e riesce ad esprimere con veemenza e forza inaudite i sentimenti e gli accadimenti. Il direttore giapponese non ha esasperato la violenza espressionista della musica, scegliendo una lettura scorrevole e puntuale che ha esaltato la ricchezza timbrica della scrittura, potente e intima al tempo stesso. Un'interpretazione lirica che però non ha trascurato il groviglio psicotico, mettendo in primo piano l'impossibilità di vivere dal punto di vista affettivo e fisico, in linea con regia e scenografia. La musica è sempre tersa, nitida, struggente, descrive i fatti in una vicenda in cui accade poco o nulla e al tempo stesso dà voce alla psiche dei personaggi: viene dato risalto ai momenti lirici, deflagrano le angoscie, si aggrovigliano le sonorità dissonanti. I volumi orchestrali sono sempre contenuti, tranne quando è necessario dare un sussulto, come nel finale. Insomma una musica di morbida e carezzevole sensualità anche nei punti più aguzzi e scabri. In primo piano c'è la sofferenza di Elektra; la musica la percepisce, la esplora, la rimanda con lucidità e consapevolezza, dalla dolcezza traboccante del riconoscimento familiare all'altissima tensione in attesa della vendetta, oppure negli scontri con la sorella e con la madre.
Lo spettacolo è iniziato con dieci minuti di ritardo, dopo alcuni istanti di buio in attesa che il Maestro entrasse in buca, salutato da un fragoroso, lungo applauso. Pubblico attentissimo, rapito dallo spettacolo: non si è sentito mai tossire. Alla fine urla e applausi per i cantanti e il regista, molti in piedi per Ozawa. Un trionfo memorabile per uno degli spettacoli più attesi dell'anno che si è rivelato così bello da restare storditi.
Visto a Firenze, teatro Comunale, il 24 febbraio 2008
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Maggio Musicale Fiorentino
di Firenze
(FI)