Prosa
ELETTRA

Elettra, ovvero come far crollare un mito

Elettra, ovvero come far crollare un mito

Una spettatrice, alla chiusura del sipario, domanda alla propria vicina di poltrona: “Ma lei è morta?” 
Questa reazione racchiude emblematicamente la perplessità e il senso di smarrimento che si prova di fronte all’Elettra di Hugo Von Hoffmannsthal (nell’allestimento di Giuliano Scarpinato, che ha incontrato questo testo durante i suoi anni di studio alla scuola del Teatro Stabile di Torino).
Nella pratica più cruda, vuole essere una rielaborazione della tragedia di Sofocle. Il mito di Elettra - figlia di Agamennone, che aspetta di vendicare l’ignobile assassinio del padre, compiuto dalla madre Clitemnestra e dall’amante di lei, Egisto – crolla nel tentativo di sfuggire al tempo e allo spazio.

Un allestimento poco funzionale 
La scena - anch'essa firmata da Scarpinato - per quanto efficace nella sua essenzialità, non sempre è funzionale all’agire degli attori sul palcoscenico. Lo spettacolo si apre con la servitù che esce in proscenio da un sipario quasi chiuso, dietro il quale si può - a stento - intravedere una tavola imbandita: e le azioni e le parole delle tre vivaci interpreti (Anna Charlotte Barbera, Francesca Turrini e Valentina Virando) si perdono in uno spazio che, se fin dal primo istante fosse stato più “aperto”, avrebbe raggiunto il pubblico con una maggiore immediatezza.

Azioni sceniche fuori dal contesto
Altri dettagli lasciano perplessi, come ad esempio la morte di Egisto (Lorenzo Bartoli), il quale si trascina – quasi a voler morire sul “trono” – fino a una grossa sedia, rimasta ferma nella stessa posizione per tutto lo spettacolo – arrivando a coprire parzialmente la visuale dell’antecedente uccisione di Clitemnestra (Elena Aimone)  per mano del figlio maschio, Oreste (Raffaele Musella)  e del suo precettore (Elio D'Alessandro) a una parte degli spettatori. O ancora, proiezioni video che si “scontrano” con il disegno luci, con risultati scarsamente “chiarificatori”. Spicca una certa atmosfera cechoviana, messa in risalto soprattutto dai costumi, a opera di Dora Argento.

Uno sforzo riuscito in parte
Non si può dire che manchi una visione registica d’insieme; tuttavia non risulta pienamente comprensibile. Lo sforzo messo in atto da Scarpinato di rinnovare il testo di Hoffmansthal – contemporaneo già di per sé, pur rimanendo, l’originale, fedele allo spirito della tragedia classica – si compie solo in parte; più precisamente nella caratterizzazione gestuale e psicologica delle protagoniste femminili (Giulia Rupi, Elena Aimone, ed Eleonora Tata, particolarmente apprezzata nel ruolo di Crisotemi).

In definitiva, poter contare sulla collaborazione di un team che in gran parte ha ricevuto la medesima formazione artistica, non sempre garantisce il risultato previsto.

Visto il 09-01-2017
al Gobetti di Torino (TO)