Prosa
ELLEN DEAN-CIME TEMPESTOSE

Uno spettacolo imperdibile.

Uno spettacolo imperdibile.

Ellen Dean Cime Tempestose è uno spettacolo di rara eleganza e intelligenza che si presenta al pubblico con una icastica e apparente semplicità essendo invece il risultato di una ricerca e una riscrittura drammaturgica complesse e pienamente riuscite.
Patrizia La Fonte e Tomaso Sherman (che firma anche la regia) , che firmano insieme la riscrittura del testo, si avvicinano a una icona del romanticismo inglese, Cime tempestose di Emily Brontë, gotico e cupo romanzo pubblicato nel 1847 e lo indagano da prospettive diverse.

Il romanzo si incentra sulla storia d'amore di Catherine Earnshaw, figlia del padrone di casa, per il trovatello Heathcliff, al quale per complicate (e incomprensibili) ragioni, preferirà  Edgar Linton, il
figlio di un magistrato, sposandolo. La storia si incentra sulle vicissitudini loro e dei loro familiari, ognuno ha un fratello o una sorella, o sposa qualcuno,  mentre i lutti fanno sparire i personaggi così come sono comparsi e i figli e le figlie compaiono dal nulla come quella di Catherine della quale veniamo a sapere solo nel momento della nascita senza che il romanzo ci informi prima del suo stato interessante della donna (e neanche i personaggi sembrano accorgersene a loro volta...).

Dal versante narrativo il romanzo ha come voce narrante quella del signor Lockwood, un personaggio estraneo ai fatti, affittuario di una delle due dimore dove prende luogo il romanzo,  al quale la governante Ellen Dean, detta Nelly, dietro sua richiesta, racconta le vicissitudini cui ha assistito durante gli anni dei servizio, dal 1771 al presente, ambientato nel 1801 (con una coda l'anno successivo).

Tutto il romanzo dunque è raccontato da un personaggio (Lockwood) che riporta  il racconto di qualcun altro (Nelly) e si sviluppa grazie a un punto di vista limitato: Nelly non può che raccontare quello cui ha assistito, ben diversamente da quello che avrebbe potuto fare un narratore onniscente. Tutto quello che al lettore è dato sapere lo è dal punto di vista di Nelly così com'è riportato da Lockwood.

La Fonte e Sherman incentrano lo spettacolo su Nelly che diventa il vero fulcro narrativo della storia mentre Lockwood rimane come sua spalla narrativa, un solido sostegno, specchio e amplificatore narrativo.
Il racconto di Nelly si sviluppa sul tempo presente, quando racconta i fatti a Lockwood, e vede la presenza anche del dottore, giovane e empatico, e di un garzone (personaggio secondario nel romanzo e nello spettacolo magnificamente consono e necessario mostrato con un'insita curiosità pettegola che tradisce una certa effeminatezza) evocando situazioni e personaggi senza che questi si materializzino rimanendo una pura assenza evocativa, racconto al quale si alternano dei flashback, sottolineati solo da un cambio di luce, che  raccontano, mostrandoli come accadessero in quel momento, eventi del passato, a esclusivo favore degli spettatori, e non di Lockwood che, ovviamente, non era presente allora.

Nelly è chiaramente solo un espediente narrativo tramite il quale l'autrice controlla la materia narrata. Lo spettacolo lo evidenzia tramite la presenza misteriosa di una signorina, che occupa una stanza adiacente quella dove si svolge la scena, che usa il campanello per chiamare Nelly, intervenendo ogni volta che la governante accenna delle spiegazioni troppo approfondite.

Gli eventi raccontati nel romanzo non sono infatti sempre plausibili né da un punto di vista realistico né per quanto riguarda la psicologia o la lealtà dei personaggi, Nelly in testa che si rivela il vero deux ex machina della vicenda molto di più quanto non voglia lasciare intendere al signor Lockwood che, infatti, le chiede continue spiegazioni.

Alla fine della piéce (ma il pubblico attento lo intuisce già prima)  si capisce che la signorina col campanello altri non è che Emily Brontë stessa alla quale, adesso che ha ottemperato alla sua funzione narrativa, Nelly si rivolge lamentandosi per il ruolo contraddittorio, incoerente e implausibile che è stata chiamata a interpretare, e, come puro personaggio, chiede alla sua creatrice di farle vivere nuove storie. Nel pieno di un deliro di onnipotenza nel quale si immagina nuove e gloriose avventure Emily muore privandola così del futuro al quale agognava. E mentre si piega alla sua sorte  accettandola con la dignità che le si addice Nelly, mentre la luce le illumina solamente il volto, assume una posa che ricorda uno dei ritratti dell'autrice e muore.

Patrizia La Fonte è l'eccezionale interprete di Nelly personaggio al quale dà tutta la potenza, la grazia e la credibilità di cui ha bisogno per potersi muovere su tutti e tre i livelli della narrazione, il presente nel quale racconta a Lockwood (un convincente Stefano Gragnani) i fatti cui ha assistito, il passato dei flashback dove vive alcuni di quei fatti quando stanno per accadere, e il suo essere personaggio che dialoga con la propria autrice.

La Fonte si dona a Nelly con precisione filologica nella postura nel linguaggio del corpo, nei gesti con cui porge una tazza di te a Lockwood, accoglie con reverenza il dottore (un credibile Mario Podeschi) o tratta con sufficienza il garzone (il brillante Lorenzo Venturini), in una messinscena attenta ai dettagli anche degli splendidi costumi, precisi e completi (anche la sottogonna che si intravede durante qualche movimento e che, pure, come dovrebbe essere, c'è) facendo della recitazione un atto di amore per il personaggio e per il romanzo, che conosce alla perfezione riuscendo a riportarne in scena l'essenza vitale e tutta la sua complessità.

Una recitazione semplice frutto di una bravura e una capacità interpretativa altissime e di una generosità che lascia agli altri attori tutto lo spazio di cui hanno bisogno, misurando la  bravura che non ruba mai la scena, sostenuta da una regia costruita sulle luci che ritagliano spazi, anche mentali, sottolineano momenti diversi nel tempo e nello spazio, e  sfrutta anche la peculiarità dello spazio in cui lo spettacolo si svolge.

Il piccolissimo Teatro Stanze Segrete è ospitato in una stanza nella quale gli spettatori, disposti su tre lati, presenziano a stretto contatto con gli attori nello stesso ambiente così può capitare che gli attori, oltre a essere  a poche decine di centimetri dalla platea, diano di tanto in tanto le spalle a qualche spettatore e che questi vada a cercare il volto dell'attore, dell'attrice, sullo specchio intelligentemente posto sulla parete di fronte, in un sorta di regia interna che lo rende meno passivo chiamato com'è a scegliere dove guardare.

Ellen Dean Cime tempestose  è uno spettacolo che dovrebbero vedere tutti e tutte per godere della intelligenza fresca e seducente di una drammaturgia viva, splendida, didattica, anche, che esprime in pieno la cifra di un teatro altro, attento e consapevole di sé e del proprio pubblico e che, nonostante tutto, riesce a resistere e sopravvivere nonostante la mancanza di finanziamenti statali.

Un teatro da sostenere con una presenza massiccia (si fa per dire date le dimensioni del teatro) in sala.
Uno spettacolo che dà una speranza in più in tempi bui come questi, non solo per il teatro.
Uno spettacolo e una interprete indimenticabili.
Vedere per credere.
 

Visto il 26-04-2012
al Stanze Segrete di Roma (RM)