Venerdì 7 novembre è andato in scena al teatro Cometa off di Roma Emigranti, un testo di Sławomir Mrożek scritto nel 1974 e tradotto in italiano solo nel 1987 per la regia di Carlo Benso.
L'intera pièce è incentrata su un dialogo, tra un operaio (Alessandro Propoli) e un intellettuale (Maurizio Biancucci) che risulta spesso ironico, spesso molto duro e che ha come fulcro la libertà e la condizione di isolamento in cui vive l'emigrato, Libertà come ideale, libertà come sogno per il futuro, libertà che come una belva, ora effimera, ora spietata, incatena entrambi i personaggi alle loro vite. L'intellettuale anarchico, per essere libero e coerente con se stesso e con la sua società è costretto a scappare e rifugiarsi in un altro paese, l'operaio è costretto ad emigrare per la necessità di guadagnare denaro per costruire una casa alla sua famiglia. Entrambi si incatenano autonomamente ad una realtà molto più grande di loro credendo di potersi liberare in qualsiasi momento, invece la realtà è ben diversa da come noi vorremmo che fosse.
La messa in scena di Carlo Benso sembra fedele al realismo scelto da Mrożek per Emigranti, forse su questo ha inciso il fatto che il regista è stato allievo di Jerzy Stuhr uno dei due protagonisti dell'edizione di Emigranti di Andrzej Wajda del 1976. La scena, i costumi, l'impostazione attoriale, tutto è volto interamente al realismo, un realismo rigido che non riesce a essere ironico e stemperare alcuni toni che dal drammatico scivolano al tragico facendo traballare l'armonia e la credibilità della messa in scena. L'impostazione ancora troppo accademica e monocorde di Maurizio Biancucci rendono questo aspetto troppo rilevante anche se questi toni “spigolosi” vengono smussati dall'esperienza non ancora matura ma già importante di Alessandro Propoli, il quale riesce a trasformare le sue mani in quelle di un contadino, il suo copro spesso rannicchiato come se portasse sulle spalle perennemente la povertà dei suoi avi, come un fuscello che, nonostante tutto, non si spezza. La voce grossa di una persona semplice e vera, lo sguardo spesso nel vuoto ed un sorriso fuori dal tempo. Ma forse questo squilibrio è proprio quello che Benso voleva trasmetterci, queste memorie di vita contrapposte che da molto tempo abbiamo perso, entrambi con gli occhi al cielo guardando però cose diverse. L'intellettuale vede il futuro come dovrebbe essere pensando al presente mentre il contadino vede il presente per come è pensando al passato. Un bel progetto che vale la pena vedere ma su cui si deve ancora lavorare per farlo sbocciare veramente e assaporarne l'odore prezioso.
Roma, 9 novembre 2008 Cometa Off
L'intera pièce è incentrata su un dialogo, tra un operaio (Alessandro Propoli) e un intellettuale (Maurizio Biancucci) che risulta spesso ironico, spesso molto duro e che ha come fulcro la libertà e la condizione di isolamento in cui vive l'emigrato, Libertà come ideale, libertà come sogno per il futuro, libertà che come una belva, ora effimera, ora spietata, incatena entrambi i personaggi alle loro vite. L'intellettuale anarchico, per essere libero e coerente con se stesso e con la sua società è costretto a scappare e rifugiarsi in un altro paese, l'operaio è costretto ad emigrare per la necessità di guadagnare denaro per costruire una casa alla sua famiglia. Entrambi si incatenano autonomamente ad una realtà molto più grande di loro credendo di potersi liberare in qualsiasi momento, invece la realtà è ben diversa da come noi vorremmo che fosse.
La messa in scena di Carlo Benso sembra fedele al realismo scelto da Mrożek per Emigranti, forse su questo ha inciso il fatto che il regista è stato allievo di Jerzy Stuhr uno dei due protagonisti dell'edizione di Emigranti di Andrzej Wajda del 1976. La scena, i costumi, l'impostazione attoriale, tutto è volto interamente al realismo, un realismo rigido che non riesce a essere ironico e stemperare alcuni toni che dal drammatico scivolano al tragico facendo traballare l'armonia e la credibilità della messa in scena. L'impostazione ancora troppo accademica e monocorde di Maurizio Biancucci rendono questo aspetto troppo rilevante anche se questi toni “spigolosi” vengono smussati dall'esperienza non ancora matura ma già importante di Alessandro Propoli, il quale riesce a trasformare le sue mani in quelle di un contadino, il suo copro spesso rannicchiato come se portasse sulle spalle perennemente la povertà dei suoi avi, come un fuscello che, nonostante tutto, non si spezza. La voce grossa di una persona semplice e vera, lo sguardo spesso nel vuoto ed un sorriso fuori dal tempo. Ma forse questo squilibrio è proprio quello che Benso voleva trasmetterci, queste memorie di vita contrapposte che da molto tempo abbiamo perso, entrambi con gli occhi al cielo guardando però cose diverse. L'intellettuale vede il futuro come dovrebbe essere pensando al presente mentre il contadino vede il presente per come è pensando al passato. Un bel progetto che vale la pena vedere ma su cui si deve ancora lavorare per farlo sbocciare veramente e assaporarne l'odore prezioso.
Roma, 9 novembre 2008 Cometa Off
Visto il
al
Biblioteca Quarticciolo
di Roma
(RM)