Musical e varietà
END OF THE RAINBOW

MORTE DI UNA STELLA

MORTE DI UNA STELLA

La vicenda di Judy Garland è ai più sconosciuta ma si rivela estremamente vicina a molte vite anche del contemporaneo. Una donna fragile, confusa, intossicata, alcolizzata, dall'equilibrio precario e minato. Colpa di chi le è stato vicino fin da bambina, senza amore e solo per trarne guadagno, a cominciare dalla stessa madre e dai mariti. Persone dalle quali lei si è sempre dovuta difendere ma alle quali è stata costretta ad affidarsi. Persone che l'hanno ferita in modo inguaribile, distrutta in modo non ricostruibile, confusa in modo irrecuperabile. Destabilizzata per sempre: nessuna conferma è per lei sufficientemente forte e definitiva.

La funzionale scena fissa di Carmelo Giammello crea un ambiente unico per la camera d'albergo, il palcoscenico e il camerino con l'ausilio delle giuste luci di Pietro Sperduti, mentre i costumi splendidi di Walter Azzini ricreano la lussuosa ricercatezza della diva anni Sessanta, modellati su un corpo di sirena. Il regista Juan Diego Puerta Lopez fa scorrere la vicenda in modo comprensibile e punta l'attenzione sui comportamenti che rivelano l'animo e il dolore della protagonista. Lo spettacolo ricostruisce sei settimane che la donna trascorse a Londra per una serie di concerti soggiornando il albergo con il giovane fidanzato e il pianista accompagnatore, approfondendo la strana e letale mescolanza tra vita privata e pubblica della Garland, il legame morboso con il pubblico e i mezzi di comunicazione, il peso del passato e delle scelte effettuate. I testi delle canzoni completano ed espandono i dialoghi, aggiungendo parole: da For once in my life a I'll go my way by myself, da Smile, even if it's breaking a What now, my love, goodbye fino a Just in time I found you e Before I was lost. Tutte canzoni dai testi inequivocabili ma non c'è stato nessuno che le abbia mai detto “Potrei innamorarmi, se tu continui così”. Nessuno che l'abbia davvero considerata una persona sola e bisognosa di essere amata e rassicurata, protetta.

Monica Guerritore aggiunge un nuovo tassello alla sua straordinaria carriera con un ruolo drammatico e leggero al tempo stesso in cui canta dal vivo accompagnata da Andrea Nicolini al pianoforte o da un'orchestrina jazz con batteria, contrabbasso, fiati. La mimesi fisica è straordinaria (il gesto di sistemarsi la ciocca di capelli), come anche la capacità di rendere gli sbalzi d'umore e i differenti stati d'animo e di lucidità della Garland. La Garland aveva voce da contralto e la Guerritore usa abilmente la propria nel realismo della fatica a reggere la tessitura acuta e la confusione del testo ad esempio nell'odiata I belong to London, lei che è americana. Se il presente è il luogo dove salvare le apparenze e navigare a vista tra i creditori, il passato costituisce un dramma per la protagonista. Ripete spesso di desiderare ritirarsi a vita privata ma non ce la fa a vivere lontano da quel palco dove tutti ti guardano. Ma, quando vedono la “vecchia e fragile signora”, tutti se ne vanno. Anche queste sono le regole dello spettacolo: That's enterteinment. Resta un velo di dubbio sul ruolo dell'ultimo marito, qui ancora fidanzato, interpretato in modo convincente da Alessandro Riceci.

L'ultima, struggente scena la vede in piedi davanti all'asta del microfono che canta Somewhere over the rainbow con lo sguardo ormai spento: siamo non oltre, ma alla fine dell'arcobaleno. At the end of the rainbow. Le voci registrate della Guerritore e della Garland si sovrappongono. Buio. Sipario.

Pubblico numeroso e moltissimi applausi, ovazioni per la Guerritore. Lo spettacolo ha debuttato al Persiani di Recanati in prima nazionale dopo una residenza di allestimento.

Visto il
al Il Sistina di Roma (RM)