I Babilonia Teatri in uno spettacolo potente ed asciutto che sarebbe piaciuto a Grotowski.
E’ con grande partecipazione che si vede e si vive il pluripremiato “The End” (premio Ubu 2011 come migliore novità italiana, premio Hystrio alla Drammaturgia 2012) in scena al Teatro dell’Elfo. I semi del lavoro dei Babilonia Teatri di Oppeano, una delle giovani realtà più innovative e promettenti del panorama nazionale, furono interrati durante un’esperienza laboratoriale nell’estate del 2010 al festival di Santarcangelo. In quell’occasione la scena era calcata da dieci performer reclutati su Youtube e chiamati a riunirsi e misurarsi intorno al tema della morte. Il percorso in seguito cresce asciugato a due interpreti, per debuttare infine al CRT con la sola Valeria Raimondi sulla scena. Nella versione inedita del Teatro dell’Elfo protagonista assoluto è Enrico Castellani accompagnato da altri attori (Paolo Facchini, Luigi Ferrarini, Riccardo Sielli, Luca Scotton) con ruoli di partitura fisica.
La morte, oggi, è un evento con cui non c’è verso di riconciliarsi. Incontrare la morte è sempre più un’eccezione, eppure la vita continua ad essere mortale. Vedere un cadavere a vent’anni è differente dall’averlo sempre visto. Il modo in cui viene affrontata la nostra fine è carico di contraddizioni, è un’esperienza che inevitabilmente ci striscia accanto per l’intera esistenza ma che tendiamo a seppellire ed ignorare nel profondo.
Babilonia Teatri ci toglie da davanti agli occhi il protettivo velo d’omertà e lo fa di scatto, in maniera violenta come violenta è la morte dei corpi, costringendoci a riflettere sulle ragioni che portano a percepire la fine come un evento estraneo, che non ci appartiene. La morte e la vecchiaia, il diritto alla morte, la morte tragica, quella veloce. La morte perfetta: un boia e un colpo di pistola. A toccare e scuotere in questo spettacolo è il rifiuto delle mezze misure ma, d’altra parte, le mezze misure con la morte non hanno nulla a che fare. Quando si è vivi si è vivi, quando si è morti si è morti. In mezzo solo l’odore di cadavere emanato della malattia. Di qui la necessità di scottarsi. Di qui una scenografia essenziale fatta di pochi elementi ma di enorme pregnanza simbolica (un frigo che conserva le teste mozzate del bue e dell’asinello, un grande Cristo crocifisso).
Enrico Castellani attore, è un essere umano che si mostra con tutti i suoi limiti, che risucchia lo spettatore dentro le sue debolezze e ognuno di noi dentro le debolezze di tutti. Un uomo che esce allo scoperto e si mostra, si espone, come Cristo è esposto su quella croce che egli stesso ha issato sopra di sé. “(…)Bisogna esporsi, la chiarezza del cuore è degna di ogni scherno, di ogni peccato… questo vuol dire il Crocifisso? (…)rinunciare ogni giorno al perdono, sporgersi ingenui sull’abisso” (P.P. Pasolini). Un uomo il cui corpo vivo si somma ai corpi immobili di Cristo, dell’asinello e del bue per invitare lo spettatore a guardare la realtà senza filtri. Un uomo che prova a scendere a patti con l’inevitabile, pensando di poter controllare la situazione con un colpo di pistola preparato in canna. Un uomo che annega il terrore dentro un fiume di parole, privo di varianti nella sua rabbia immobile dai risvolti autoironici, senza mai un reale sciogliersi nel fare che addolcisca la violenza di quanto pronuncia.
Il linguaggio è sarcastico e paradossale, l’unico in grado di esorcizzarne la paura di una società votata alla giovinezza chirurgica e alla bellezza posticcia. La recitazione neutra, giocata tutta sulla parola scandita a ritmo cadenzato ed impersonale, un’invettiva vocale che travolge fino all’inquietudine, cela la volontà di non assumere posizioni, di non lasciare spazio a fattori intermedi. Si pongono domande i Babilonia Teatro, senza dare risposte.
E’ quindi inevitabile che l’oscurità di questo spettacolo così strettamente calcato sulla fine debba condurre ad un epilogo sconvolgente per il carico di speranza che porta con sé: la morte esiste perché esiste la vita. A chiudere una monumentale immagine del protagonista che regge nelle braccia un bambino. La fine che si congeda lasciando in eredità l’inizio. Ed è subito giorno.