Testo asciutto e moderno, ripulito dal linguaggio degli anni Venti del Novecento. In “Enrico IV” emerge il significato profondo del dramma: il rapporto tra realtà e finzione, caro alla penna dello scrittore siciliano. Ridotto da tre a un solo atto con una durata minore, lo spettacolo si adatta al linguaggio del teatro contemporaneo. Diverte l’ironia e il sarcasmo dei personaggi, mentre colpisce per complessità il monologo di Enrico IV sulla pazzia.
La visione registica
Dopo una caduta da cavallo, durante una festa di carnevale, in cui ogni ospite era travestito da un personaggio storico, il protagonista ha una commozione celebrale e al risveglio crede di essere sul serio l’imperatore.Da qui nasce il teatro nel teatro: per assecondare la pazzia del protagonista, la moglie (Angelica Ippolito), Belcredi (Roberto Trifirò), lo psichiatra (Gigio Morra) e quattro consiglieri (Brugnone, Lai, Iubatti, Giordano), fingono di essere ai tempi del Sacro Romano Impero. In realtà, dal testo di Carlo Cecchi emerge che Enrico IV sceglie di rimanere pazzo. Dopo essersi svegliato, si accorge della sua vacuità e decide di vivere in un’altra realtà, recidendo una farsa.
La pazzia del Re
"Tutti lo prendono per pazzo. Allora capisce che esserlo gli conviene. Si impone una continua rappresentazione. Cancella la vita, sceglie il teatro. Per il teatro, dentro il teatro, impazzisce. Non ha scampo. Continua a fare quella recita che dapprima è una tragedia. Poi, quando l'identificazione con il personaggio è assoluta, da tragedia diventa farsa".In realtà non è neanche una farsa, è la presa di coscienza della continua finzione della vita. Costumi e scene ricreano le atmosfere medievali, mentre le luci diventano sempre più incisive nel finale, enfatizzando il momento di massima tensione, cioè il monologo di Enrico IV.