Prosa
ENRICO IV

Enrico IV, maschera dell'uomo moderno

Enrico IV
Enrico IV

Franco Branciaroli giunge al Teatro Bellini di Napoli, portando in scena l’Enrico IV di Luigi Pirandello. Un allestimento perfettamente compiuto, indispensabile contrappunto alle troppe, presunte opere d’avanguardia e ricerca, messe in scena negli ultimi decenni.

Branciaroli delinea con chiarezza magistrale, grazie anche alle pregevoli scenografie e disegno luci, la poetica dell’adattamento, vestendo la propria maestria attorica (lo stesso regista interpreta il ruolo del protagonista) e quella dell’intera compagnia (brava nel suo insieme sino al meno visibile consigliere del re) di un abito essenziale; splendente di un eleganza che sa sedurre.

Il capolavoro del drammaturgo agrigentino narra della storia di un uomo che, impazzito dopo una caduta da cavallo e lasciato vivere nei panni dell’imperatore Enrico IV, di cui indossava i panni per una parata in maschere storiche, guarisce dopo anni ma, inorridito di fronte alla realtà, decide di continuare a fingersi folle. Una lucida rappresentazione del malessere esistenziale dell’uomo moderno, scisso nel dualismo tra l’essere interprete del ruolo che la società gli impone e la ricerca del vero io. Enrico IV assume in sé la rappresentazione ideale di quest’oggetto filosofico.

Un personaggio di cui non sapremo mai il nome reale ma solo quello della propria maschera, sotto la quale ha deciso di celarsi per ridere degli altri ed escludersi volontariamente da quel gioco al massacro cui la società impone di partecipare. Un soggetto narrativo che trova il suo ideale nel teatro; spazio unico ove la realtà interpretata è contemporanea e compresente a quella vissuta. Ed è proprio in ciò che trova ispirazione e pieno compimento espressivo la scenografia di Margherita Palli, capace di riprendere i tratti distintivi del teatro (suprema messa in scena della vita) e riproporli nel teatro stesso. La scena è incorniciata, a ribadire, qualora non fosse sufficiente il proscenio, il predetto assunto; i fondali (sui cui sono impresse icone cavalleresche) si sollevano per poi calare nuovamente dall’alto; gli abiti, utili alla mascherazione, con palese artefazione, calano dall’alto per mezzo di grezze funi di scena. In questo contesto le battute risuonano tra le pareti del palcoscenico fino a scivolare verso il pubblico (simili alla vita che - così come nella battuta rivolta all’abate Ugo di Cluny - scivola come una serpe dalle maniche del saio per palesarsi d’improvviso dinanzi) quasi materializzandosi in platea nella propria vivida drammaticità.

Branciaroli bilancia la propria interpretazione su di un registro realistico, con accenti farseschi e sarcastici nella follia e vividi ed incisivi nella rivelazione della finzione; sempre perfettamente controllato nella propria forza espressiva. A far da contrappunto, coerenti con i dettami registici, i comprimari: padroni di un registro falsato nella forma, spesso in levare ed a tratti manierato. Resta paradigmatica la veste che cinge il monologo di rilevazione della finta follia inscenata. Al disincanto per la vita e per i rapporti umani che Enrico denuncia, si affianca una classica icona dell’incantamento romantico (dell’amore per l’altro e per implementazione, per l’umanità nel suo insieme): una lucente luna sorge e magnificamente illumina il fondale.

Infine, la regia sa cogliere, con minuzia, l’essenza del sarcasmo di cui la figura dello psichiatra è permeata. L’opera si conclude con il Dottor Genoni che poggia sulla testa dell’imperatore Enrico, rintanatosi per sempre nella finzione, la corona da sovrano; la scienza, moderno deus ex machina, metaforicamente cala dall’alto sancendo lo status del protagonista e liberandolo definitivamente.

Visto il 10-11-2015
al Bellini di Napoli (NA)