Prosa
ENRICO IV

Interessante rielaborazione di Branciarli del suo Enrico IV

Franco Branciaroli in "Enrico IV"
Franco Branciaroli in "Enrico IV"

Dopo Don Chisciotte, Servo di scena e Il Teatrante, Franco Branciaroli esplora il dramma in tre atti di Luigi Pirandello, Enrico IV, rielaborato in due atti per una fruizione più accattivante per il pubblico odierno, in una grande coproduzione fra il Teatro degli Incamminati e il Teatro Stabile di Brescia di cui è direttore artistico. Enrico IV è uno studio sul significato della pazzia e sul tema caro all'autore del rapporto, complesso e inestricabile, tra personaggio e uomo, finzione e verità. Enrico IV è vittima non solo della follia, prima vera poi cosciente, ma dell'impossibilità di adeguarsi a una realtà che non gli si confà più e sceglie quindi di interpretare il ruolo fisso del pazzo. Enrico IV porta in scena i grandi temi della maschera, dell'umorismo, dell'identità tra forma e vita, evidenziando nel contempo la contraddittorietà tragicomica dell'esistenza umana.

Protagonista della storia è un nobile che, durante una cavalcata in costume nei panni di Enrico IV, l’antico imperatore di Germania, cade da cavallo, batte la testa e diventa pazzo al punto da credere d’essere davvero il personaggio che stava interpretando. A farlo cadere da cavallo è stato Belcredi, suo rivale in amore, che gli contende la mano di Matilde Spina. A distanza di parecchi anni, Enrico guarisce, intuisce la verità e si prende la rivincita su Belcredi. Ma la sua vendetta rischia di rovinargli completamente la vita. Meglio allora rifugiarsi per sempre nella pazzia. Il protagonista di Pirandello, infatti, non è pazzo, è un attore che interpreta lucidamente il ruolo del re, vittima dell’impossibilità di adeguarsi ad una realtà che non gli confà più. E qui la tematica della maschera pirandelliana raggiunge la perfezione.

La prima parte del dramma è tutta fatta di esasperazioni tonali, caricature, falsetti, incongrue apparizioni; la seconda pensosa, lividamente illuminante. Pare di assistere a due rappresentazioni diverse. Probabilmente questo scarto è necessario per accentuare l'acre presa di coscienza da cui è mosso l'istrionico protagonista. In genere le rappresentazioni di questo dramma si  concentrano solo su Enrico IV, invece Branciaroli sottolinea e caratterizza generosamente tutti gli altri personaggi. Lo spettacolo vero tuttavia comincia col lungo monologo iniziale del secondo atto di questa rielaborazione, in cui lo pseudo-Enrico IV svela ai suoi cortigiani figuranti d'avere già da tempo riacquistato la propria lucidità, di continuare a vestire i panni dell'imperatore non per burla, ma per salvarsi da un'esistenza governata dai mediocri, per sottrarsi al peso delle opinioni correnti. In questo monologo di poco più di un quarto d’ora, vera chiave vincente della rappresentazione si concentra l’intera magia dello spettacolo, anzi, questo monologo è l'autentico punto d'arrivo dell'attore, l'approdo di una lunga militanza in palcoscenico. Franco Branciaroli, grandioso nel duplice ruolo di protagonista e regista, non conosce le mezze misure, non fanno proprio parte del suo temperamento di mattatore. Enrico IV è un istrione proprio come lui, un continuo oscillare tra opposti. Realtà e finzione, ragione e follia, sarcasmo e intima tragedia. Branciaroli E’ straordinario nell’offrire al personaggio toni disincantati, ironici, enigmatici, misantropici, ipocondriaci, stizzosi, diffidenti, sfoderando per ciascun atteggiamento una serie voci diverse per meglio far vivere colui che non ha altro nome se non quello di Enrico IV, che non potrà uscire più dal personaggio e resterà per sempre Enrico IV il pazzo. Il taglio introspettivo che Branciaroli concede al celebre personaggio amplifica le sue amarezze verso il mondo esterno, avvolgendolo in una particolare indole la malinconica lucidità che, se da un lato toglie vigore alle visionarie sfuriate di Enrico IV e contrasta il meccanismo dell’equivoco e dell’ambiguità tra  realtà e finzione, dall’altro ci affascina con la sua elegante consapevolezza interiore percezione di essere in presenza di una raffinata lettura del testo pirandelliano.

Una produzione importane, uno spettacolo vero, con bei costumi e bravi attori, anche se il confronto sfavorevole con l’interpretazione di Branciaroli, un vero gigante del palcoscenico, è inevitabile. L’allestimento è curato nei minimi dettagli. La scena di Margherita Palli, che cura anche i costumi, è su più piani, illuminata ad un tratto da una pallida luna, su cui domina una affiche in bianco e nero, raffigurante un cavaliere bardato di tutto punto. A completare il quadro scenografico il taglio suggestivo, spesso astratto, sottolineato ed esaltato dal pulito disegno di luci di Gigi Saccomandi.
Melania Giglio, Giorgio Lanza, Antonio Zanoletti, Tommaso Cardarelli, Valentina Violo e Daniele Griggio restituiscono bene l’oscillazione esistenziale dei personaggi chiamati alla farsa, ma la distanza della fprza recitativa con Branciaroli aumenta ad ogni battuta del secondo atto. Il finale non chiude. Lascia aperto quel quesito dal quale si è partiti. La risposta alla domanda è la domanda stessa. Il testo di Pirandello nella rielaborazione di Branciaroli, in questo senso, si arricchisce di una lettura coerente ed esaltante.

Visto il 04-02-2015
al Carlo Goldoni di Venezia (VE)