ENTREMESES

Fino alla morte, tutto è vita

Fino alla morte, tutto è vita

Entremeses del Teatro de la Abadìa di Madrid per la regia di Jorgé Luis Gomez è uno spettacolo leggero, pulito, delicato, dove nulla è lasciato al caso e perfino l’improvvisa amnesia di uno degli attori si risolve con la sponda offerta, sulla scena stessa, dagli altri attori.

Il gioco delle finzioni accade infatti sotto gli occhi degli spettatori, i dieci affiatatissimi attori vestono nelle due ore di spettacolo i panni di contadini che muovendosi all’ombra di un solido tronco, beckettiano certo, ma soprattutto arcaico nella sua nudità, raccontano e si raccontano, passando attraverso continui travestimenti, storie in cui una natura magica vagamente lorchiana, beffe boccaccesche e rocambolesche movenze da comici dell’arte si fondono nel quadro di una rassicurante atmosfera nostalgica.

I richiami per uccelli che gli attori modulano nella prima scena arrivando dalla platea, il dolce riposo finale accoccolati ai piedi del tronco mentre la notte azzurrina è appena scalfita dalla luce di lampade festive, i rumori fuori scena ottenuti a vista con ferraglie e oggetti di legno, gli sgabelli e le croci lignee sulle quali, a mo’ di attaccapanni, sono appoggiati i costumi di scena, tutto insomma concorre a tratteggiare un immaginario che sa di passato, ma di un passato buono, vero, dove i rapporti umani, seppur costantemente in bilico tra ingenue falsità e spietate ipocrisie, conservano straordinaria solidità e inattaccabile schiettezza.

Il Teatro de la Abadìa ritorna, in occasione dei suoi vent’anni, ad uno spettacolo che fu allora il suo cavallo di battaglia e che appare oggi non aver risentito affatto del tempo trascorso, merito di una messa in scena dettagliata e rigorosa, che però al tempo stesso concede allo spettatore il gusto del sogno e della fiaba.

D’altronde come avrebbe potuto essere diversamente? I tre intermezzi, gli Entremeses del titolo originale, di Miguel de Cervantes, che costituiscono l’ossatura drammaturgica dello spettacolo sono un concentrato di desideri, amori, gelosie e astuzie, dove l’ironia spensierata di chi inganna e il greve smacco di chi è ingannato finiscono per trovare posto in una sorta di inno al meraviglioso celebrato nell’ultimo dei tre testi presentati, ovvero quel “Teatrino delle Meraviglie”, dove uno sfacciato millantatore, quasi un Chelstakov ante litteram, riesce ad irretire l’ intero villaggio  in cui viene a trovarsi, spingendo gli ingenui contadini a vedere ciò che non c’è per non sfigurare l’uno con l’altro.

Piccoli gioielli di arguta comicità sono queste operine del creatore di Don Chisciotte, dipingono, su uno sfondo di una Spagna secentesca insanguinata dalla repressione e dai tribunali dell’inquisizione, il furiere presente nel “Teatrino delle Meraviglie” ne è un richiamo preciso, la voglia di esorcizzare paure e disinnescare lo sgomento di fronte alla grandezza di un creato fantastico ma la tempo stesso inquietante, ricordando a se stessi un motto che viene ripetuto in scena come un eterno refrain: fino alla morte, tutto è vita. E’ lo spirito animistico di un atavico mondo rurale certo, ma anche l’assordante consapevolezza che la vita è l’unica unità di misura consegnata all’uomo.

Alla fine il pubblico del Goldoni di Venezia tributa un lungo e convinto applauso per una compagnia a tutto tondo, capace di passare dal canto alla prosa con estrema naturalezza e di divertirsi per ogni parola detta, ogni gesto fatto, ogni lazzo giocato.

Lo spagnolo prezioso e ricercato della scrittura originale contribuisce infine ad amplificare quel gusto di realismo magico che ha accompagnato gli spettatori ben oltre  la chiusura del sipario.

Visto il 04-12-2016
al Carlo Goldoni di Venezia (VE)