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ERETICI E CORSARI

Eretici e corsari, una fiammata di coscienza

Eretici e corsari, una fiammata di coscienza

Il Piccolo Teatro Strehler è colmo di bella gente venuta a vedere ‘Eretici e corsari’, un reading-spettacolo tratto dall’opera di Giorgio Gaber, Sandro Luporini e Pier Paolo Pasolini. Il sipario si apre su uno scenario buio dal quale emergono quattro musicisti giovani e bravissimi: due violinisti, un violoncellista e una flautista che talvolta suona una percussione. Entrano nel cuore di tutti con una musica affascinante, a metà fra il classico e il moderno. Daranno luce e colore a tutto lo spettacolo, perfino nei momenti di silenzio musicale, utile a dar risalto alle parole di Giorgio Gaber, pronunciate con toni perfetti e spesso cantate con maestria a Neri Marcorè e le parole, taglienti e desolate di Pier Paolo Pasolini, pronunciate con calma mista a furore da un partecipativo Claudio Gioè. La regia di Giorgio Gallione, del Teatro dell’Archivolto di Genova, che ha prodotto lo spettacolo insieme alla Fondazione Giorgio Gaber, ha un’incredibile responsabilità nell’averne fatto uno spettacolo indimenticabile.

La volontà di unire assieme sul palco due figure apparentemente distanti non è sciocca: entrambi sono stati rappresentanti del loro tempo, entrambi sono stati intellettuali, anche se diversamente impegnati. Dello scrittore Pasolini sono stati scelti brani roventi e controversi, pubblicati negli anni ’70 dal Corriere della Sera, i suoi celebri ‘Scritti Corsari’ che sembrano duettare con le canzoni di Gaber all’incirca di quella stessa epoca, quando il cantautore milanese si era dedicato al Teatro e alla canzone ‘impegnata’, diventando un simbolo del disagio giovanile, della protesta che infuriava sulle piazze, ma era dialogante, quasi buonista, direbbero oggi i soliti cretini. Semplicemente, Gaber era un non violento ma non digeriva tutto lo schifo che vedeva attorno a sé, nemmeno fra i suoi stessi coetanei e si esprimeva senza peli sulla lingua. Pasolini è stato scrittore, autore e regista di film che hanno sempre sollevato polveroni, giudicati come opere d’arte oppure robaccia, quasi senza mezzi termini a seconda dei pareri personali, ma hanno lasciato un segno indelebile.

Neri Marcorè ha un passato di attore televisivo di successo, vedi ‘Tutti pazzi per amore’ ma anche sul grande schermo gli va bene ed è apprezzato pure se parla di libri ai ragazzi in tv. A teatro aveva già presentato ‘Un certo signor G’, che deve avergli fatto amare il buon Gaber. Per quanto lui, nato nel ’66, quando stavano per esplodere la rivoluzione sessuale e quella studentesca, di Gaber deve aver solo sentito parlare. Beh, oggi ci sono i dvd e tutti sanno tutto, ma il modo in cui Marcorè non imita affatto Gaber ma lo interpreta, scandendo perfettamente ogni singola parola che pare scagliata contro il cielo a mo’ di fulmine e come fiamma incandescente traccia un solco pure nelle nostre coscienze ed è perfetto.

Impossibile non rendersi conto di quanto Gaber debba aver letto e apprezzato Pasolini, per quanto fra loro non risulta mai esserci stato un incontro personale. Ma quando Claudio Gioè parla con le parole dello scrittore morto massacrato a Roma oltre trent’anni fa, quando dice “...è giunta l’ora di trasformarsi in contestazione vivente” dopo aver descritto il vuoto della politica e dei politicanti, gli risponde Marcorè cantando i brani più celebri tratti dai dialoghi lucidi e ancora oggi profetici di un artista che manca moltissimo. Entrambi poi parlano di cancro, quello rappresentato dal consumismo e dal capitalismo, che distrugge secoli di civiltà contadina italiana trasformando tutti, perfino i poveri, in consumisti e accumulatori di oggetti inutili, superflui. Cancro odiato quanto quello che vive dentro, che ha roso Gaber ma non gli ha impedito di vedere la realtà. Pasolini racconta della sua vita “in cui ho raggiunto il successo, una cosa discreta ma sufficiente per capire che è l’altra faccia della persecuzione”.

Lo sviluppo e il progresso devono coincidere, ricorda Pasolini con la voce di Gioè e parla di beni superflui, così tanto pubblicizzati dai media già allora, che “portano alla miseria e diventano corruttori. I beni superflui rendono superficiali e vuota la vita”. L’eccellenza dello spettacolo che solo per due giorni il Teatro Strehler ospita lo rende uno dei migliori di tutta la stagione: una finestra sull’intelligenza, la capacitò di analisi mista a umorismo e perfino a satira, come l’ultimo stralcio scelto in chiusura, Io se fossi Dio, che dice: “Io se fossi Dio
dall’alto del mio trono
vedrei che la politica è un mestiere come un altro
e vorrei dire, mi pare Platone
che il politico è sempre meno filosofo
e sempre più coglione”. Conclude con la fine della versione del 1991, la seconda: “Forse io come Dio, come Creatore
queste cose non le dovrei nemmeno dire,
io come Padreterno non mi dovrei occupare
né di violenza né di orrori, né di guerra
né di tutta l'idiozia di questa terra
e cose simili.
Peccato che anche Dio
ha il proprio inferno
che è questo amore eterno
per gli uomini”.

Visto il 20-12-2010