Una bandiera che brucia, una spada confitta nella sabbia, una fossa scavata con uno scudo, un adolescente che piange sul padre ucciso in battaglia. Parte con queste lugubri immagini l'Ernani ora in scena alla Fenice – culla di quest'opera creatavi nel 1844, imprimendo una svolta nel cammino verdiano – proposta nella visione scenica di un talento emergente, quello di Andrea Bernard.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Già assistente di Pizzi e Michieletto, il giovane regista bolzanino ci propone una drammaturgia il cui piano andamento narrativo focalizza il nostro sguardo sulle lacerazioni individuali. Una interpretazione scenica, a conti fatti, alquanto tradizionale e rassicurante, che muove appunto dal toccante filmato che accompagna lo stringato Preludio.
Ripresenta di continuo sia il funereo tumulo, sia l'incombente spettro del padre (ma che brutte, quelle spropositate ali!) la cui tragica morte ossessiona il protagonista. Regia eloquente, insomma, salvo certe concessioni agli stereotipi melodrammatici – dalle spade sguainate ai candidi gigli - e qualche ghiribizzo di troppo nella scena corale delle nozze.
Verdi, e poi Verdi ancora
Stiamo assistendo ad una stagione veneziana d'impronta decisamente verdiana: aperta da Falstaff, si chiuderà con I due Foscari, in mezzo anche l'immancabile Traviata. Quanto ad Ernani, lo troviamo consegnato alla bacchetta di Riccardo Frizza, incline a leggerlo come un romanzo di cappa e spada, procedendo con arroventata, garibaldina frenesia. Nella sua risoluta concertazione, ritmo fluente, vorticoso e ricco di tensione; colori accesi nello strumentale, accoppiati a sonorità vibranti e rilucenti; e buona amministrazione dei concertati e dei momenti corali.
Tuttavia ci pare gli sfuggano due cose: la patina di tenera grazia d'ascendenza belliniana che ricopre molte pagine; di converso, certo clima angosciante, cupo, livido, che aleggia su certe scene. L'Orchestra veneziana risponde bene ai suoi comandi, al pari del Coro adeguatamente preparato da Alfonso Caiani.
Buone voci maschili
Compito di Piero Pretti tratteggiare un Ernani fiero e combattivo, sebbene angosciato dal passato. A parte un certo accento tribunizio alla Del Monaco, che c'entra poco, la sua figura viene risolta complessivamente bene, con spavalda generosità vocale, acuti facili e squillanti, grande fierezza di carattere. Ma anche, a ben vedere, pigiando il pedale su un forte persistente.
Natalia Bartoli ci pare più soprano drammatico tout court, che drammatico d'agilità quale dovrebbe essere Elvira. La tecnica è solidissima, perita, intelligente. E' però interprete un po' freddina: manca quel l'abbandono, e quel timbro angelicato da eroina infelice necessari alla piena caratterizzazione del personaggio. Pure fraseggio e coloratura alla fin fine sono ben definiti, ma nel contempo fini a se stessi.
Un Don Carlo di cospicua valenza è quello disegnato da Ernesto Petti : voce generosa in volume e colori, ben proiettata in avanti, ricca di ombreggiature, sostenuta da buona proprietà di stile. Pure il personaggio in sé, sostenuto da quest'emissione sontuosa, risulta ben definito, modulato con arrogante impellenza. Come nel suo stile, Michele Pertusi dona al gelido, blasonato Silva tutto il solito corollario di finezze: massima musicalità, timbro caldo, canto fluente, nobiltà d'accenti. E nessuna caduta nell'enfasi.
Seconde parti sostenute da Rosanna Lo Greco (una Giovanna troppo giovane per essere una nutrice), Cristiano Olivieri (Riccardo), Francesco Milanese (Jago). La scarna, ma efficace scenografia – una serie di bianchi elementi architettonici per definire lo spazio, che voltati accompagnano il finale – è di Alfredo Beltrame; i costumi vagamente in stile sono di Elena Beccaro. Non granché. Light designer, Marco Alba.
Con l'incasso netto della prima la Fenice contribuirà al “Progetto Villa Verdi”, mirato a finanziare l'acquisto e la valorizzazione della storica dimora di Sant'Agata.