Lirica
ERNANI

Una questione di corno

Una questione di corno

Possiamo dire che, unendosi alle celebrazioni per i 150 dell'unità d'Italia, Ernani arriva in modo evidente per la prima volta a Bologna. Infatti si contano solo sei recite nell'Ottocento (una nel 1844, una nel 1845, una nel 1847, una nel 1851, una nel 1861 e una nel 1864), poi più nulla per cento anni; ma i numeri sono contenuti anche nel Novecento (solo sette recite in un secolo: cinque nel 1965 e due nel 1967) sino alla presente stagione e alle sue sette recite.

L'allestimento visto al Comunale di Bologna viene dal Massimo di Palermo ed è il massimo della tradizione, a cominciare dalle scene dipinte di Francesco Zito. Rovine gotiche nel bosco con un castello sullo sfondo sopra un monte che poi lascia il posto a una camera da letto tra sipari in velluto rosso. Sipari che costituiscono il motivo conduttore della scenografia, a rimandare a una teatralità della vicenda, dove si vuole che gli spettatori siano consapevoli della finzione. Il sipario del Bibbiena lascia il posto ad un sipario di velluto rosso e oro, che si apre a mo' di tenda rimanendo ben visibile ai lati del boccascena per tutta la durata dell'opera, incorniciando il palco e, appunto, ricordando la teatralità della situazione. La camera di Elvira è uno spazio tra due di questi sipari, dove si trovano un letto a baldacchino e un inginocchiatoio. Nel secondo atto un salone tardogotico con finestre trilobate e oculi tondeggianti, alte volte che rimandano a un luogo religioso più che laico ma di grande effetto. Nel terzo atto scale scendono alla cappella sepolcrale di Carlo Magno che ha al centro un cenotafio di slanci gotici e sopra un soffitto a cupola in ardita prospettiva. Nel finale le scene dipinte lasciano il posto a un cielo con nubi bianche da cui sfuggono raggi di sole.
I costumi di Francesco Zito, ricchi e sontuosi, rimandano al Rinascimento in cui la vicenda è situata; convincono maggiormente quando si mantengono sui colori sobri e scuri, piuttosto che quando virano al bluette o all'azzurro del finale. Un allestimento tradizionale che ricorda un teatro di altri tempi, un teatro di alto artigianato che effonde sicurezza e rivela talento manuale sotto le giuste le luci di Daniele Naldi.

La regia di Beppe de Tomasi punta sull'effetto della musica e limita sia le movenze che la gestualità, al punto da risultare poco evidente. Sicuramente presente il corno su cui si gioca il finale, un grande corno che prima Ernani e poi Silva portano a tracolla in bella evidenza, in linea col libretto. Silva che nel finale si frappone alle dita di Ernani ed Elvira che si cercano invano. Unica invenzione il tocco onirico dato dalle candele dietro un velo di seta rossastro nell'inizio del quarto atto durante il duetto di Ernani ed Elvira ad accompagnare l'ingresso di Silva.

Eccellente la direzione musicale di Bruno Bartoletti, intrisa di morbidezze romantiche già proiettate verso gli impeti del Risorgimento (il libretto non lascia dubbi: “Si ridesti il leon di Castiglia e d'Iberia ogni monte, ogni lito eco formi al tremendo ruggito, come un dì contro i Mori oppressor. Siamo tutti una sola famiglia, pugnerem con le braccia, co' petti; schiavi inulti più a lungo e negletti non sarem finchè vita abbia il cor”). Impeti che ancora non esplodono e che sono segno inequivocabile del coraggio della giovinezza e, al tempo stesso, anticipano la compiutezza della maturità del compositore. Bartoletti riesce sapientemente a evidenziare tutto quanto è nella partitura, trattata con volumi dosati e dense tinte orchestrali. Prevale una dimensione intima, interiore, dolcissima, che tuttavia non esclude i momenti più dinamici, esaltando la teatralità del dramma anche laddove la regia risulta statica o scontata.

Roberto Aronica è un Ernani convincente sia nei toni carichi di enfasi (che però non sono mai esagitati, giustamente) che nei momenti lirici, in cui si apprezza la dolcezza della linea di canto; belli i chiaroscuri e il fraseggio con il verso verdianamente scolpito; il timbro leggermente brunito conferisce ancora più carattere al personaggio; il tenore non ha difficoltà nella salita all'acuto.
Marco Di Felice è un Don Carlo molto musicale, di grande eleganza vocale e con un fraseggio che si muove dai toni elegiaci a quelli incisivi a seconda dell'esigenza scenica; la voce è morbida e usata con molta intelligenza, rendendo le sfumature caratteriali del personaggio nelle diverse situazioni.
Ferruccio Furlanetto è un Don Ruy da Silva di grande autorevolezza fisica e vocale; la voce scurissima si stacca nettamente da quella baritonale di Di Felice e trova i giusti accenti che commuovono il pubblico nei momenti di maggiore intensità.
Dimitra Theodossiou è una Elvira che domina gli acuti, ai quali sale senza fatica, e rende corposi e vibranti i gravi; una figura vista prevalentemente come oggetto delle passioni dei tre uomini ma sincera nell'amore verso Ernani, appassionata nei momenti di abbandono, in cui il fraseggio si fa particolarmente incisivo in una polimatericità del suono.
Con loro nei ruoli di contorno sono appropriati Silvia Calzavara (Giovanna), Andrea Taboga (Don Riccardo) e Sandro Pucci (Jago). Il coro è stato puntualmente preparato da Lorenzo Fratini.

Pubblico numeroso, applausi scroscianti per i cantanti e il direttore sia a scena aperta che alla fine.

Visto il
al Comunale - Sala Bibiena di Bologna (BO)