”Erodiàs” è il più violento dei Tre Lai, trilogia di Giovanni Testori dedicata a figure femminili classiche, e dunque il primo plauso va al generoso coraggio con cui Federica Fracassi interpreta il dramma dicotomico di una donna divisa tra sesso e morte, corpo e mente, ignoranza e conoscenza.
La leggendaria principessa ebraica che pretese la decapitazione del Battista diventa nella regia di Renzo Martinelli strumento di dubbi, su se stessa, su un Dio che per essere Dio deve farsi uomo, su un amore che confonde carne e anima.
Erodiàs è Giovanni Battista
E’ questa l’idea centrale della messa in scena. Erodiàs ha staccato la testa al Battista, ma quella testa continua a parlarle, la sua presenza è così incombente che la madre di Salomè si identifica con la sua vittima: il volto ornato da una barba posticcia emerge dal ventre di un manichino e mescolando registro ironico a toni amari la Fracassi/Erodiàs apostrofa il profeta con il suo nome ebraico, Jokanaan. Ma quel suntuoso manichino non è un involucro, ma un habitus mentale, Erodiàs ne esce, ma non se ne libera.
Cos’è stato dunque questo incontro di amore e di morte? Una frenesia erotica e il fallo/feticcio all’interno di un cubo, quasi una teca museale, è lì in primo piano a ricordarlo. Ma amore e morte, si sa, sono connubio antico, perché nessuna smania di piacere potrà mai risolvere il mistero dell’eternità agli uomini negata. Così, Erodiàs condanna a morte il Battista, ma questa non è la fine: l’ossessione della carne scivola in ossessione di coscienza. Le domande che restano sono quelle che legano l’uomo all’esistente: che fare? Come andare avanti?
Una lingua non lingua
E con quale lingua rispondere a queste domande? Il nucleo del teatro di Testori è tutto qui, in questa densa e vivissima non lingua o, se si vuole, ur-lingua in cui trovano posto lombardismi, scampoli d’inglese o francese, e naturalmente il latino. . Questa lingua è per Martinelli uno strumento sonoro continuamente contrappuntato, e forse in alcuni passaggi in maniera eccessiva, da rumori metallici, vetri infranti, cadute di oggetti pesanti, sonorità complesse tra le quali la protagonista si muove con una tensione ininterrotta fino al buio conclusivo.
E’ brava la Fracassi a fare di se stessa corpo e anima, mantenendo ironia e tratti satanici, assaggiando la disperazione senza essere in grado di risolverla, perché la testa mozzata del Battista non concede tregua. E la sedia di legno sgangherata, sulla quale Erodiàs conclude il suo lungo monologo, resta il simulacro della precarietà umana che nessuna domanda è in grado di risolvere, neanche se a interrogarci è un Dio che si è fatto verbum.