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EROS

Cinque figure sul palco, tre …

Cinque figure sul palco, tre …
Cinque figure sul palco, tre donne e due uomini. Sembrano sperdute, poi iniziano a interagire, in coppia, da soli, ripercorrono storie, ricordi, situazioni, corteggiamenti, dichiarazioni d'amore, timori, solitudini, proposte sessual-sentimentali, cercando di decidersi, come le sorelle di Cechov, ad agire, anche se non lo fanno mai. Si apre in maniera suggestiva Eros, con i 5 personaggi che, sul palco buio, accendono un fiammifero fino a scottarsi le dita. Metafora visiva dell'amore che rischiara le loro vite, bruciandoli, o, anche, della performance dell'attore sul palco che, quando è ben costruita, scotta sempre un po' gli attori, tutti giovanissimi, che si mettono in gioco, al servizio di personaggi che si vorrebbero veri prima ancora che vivi. Una performance convincete dal punto di vista recitativo, che vede le donne nettamente superiori agli uomini (questo non per sminuire i ragazzi ma per incensare le ragazze) in un testo che, prendendo spunto dai Frammenti di un discorso amoroso di Barthes imbastisce un discorso sull'amore coi contributi di Gabriele Linari della Compagnia Labit (produttrice dello spettacolo) e altri testi, scritti per l'occasione, da Marco Andreoli (Compagnia Circo Bordeaux) e Fabio Massimo Franceschelli (Olivieri Ravelli Teatro). Tre realtà diverse per le quali Eros costituisce il primo progetto comune, sostenuto dalle belle musiche originali di Jontom (le potete ascoltare in rete. La regia cerca di dare enfasi a situazioni (e dialoghi) che si vorrebbero profonde ma che non sono mai veramente approfondite o sviluppate, si limitano a galleggiare nell'aura del ben detto, ben recitato, più incline a cercare un'atmosfera che a raccontare una vera storia, con un risultato che ha del banale, del superficiale, dell'affettato. Non uno dei sentimenti messi in scena sembra essere davvero sentito, prima ancora che dagli attori, che cercano di infondervi un po' della loro anima, dagli stessi autori del testo, che sfiora numerosi cliché: uomini fragili incapaci di arrivare al pianto (piangono solo se presi in giro dalle donne) ma sempre lontani dall'affrancarsi dalla classica visione sessual-sentimentale dell'amore (basata su prestazioni orali); donne che credono di essere emancipate solo perché si adeguano alla disinvoltura sessuale dei maschi, ma che rimangono essenzialmente fragili e sole, dipendenti da un amore-fantasma (per il maschio) che le paralizza, mentre gli uomini temono un ammanco di autonomia, di indipendenza... Tutto è sfiorato senza una vera analisi e, cosa più grave, senza una presa di posizione (del regista, del testo, dello spettacolo): i personaggi presentati sono esempi da criticare o da seguire? Eros invece di rispondere si attesta su una ricerca drammaturgica evocativa che sottolinea un momento, un'atmosfera, piuttosto che mostrare la persona dietro il personaggio. Agli autori non interessano gli uomini e le donne che mettono in scena, sono solo occasioni per concionar d'amore. Il risultato è un amore detto più che sentito, un freddo cerebralismo al posto di un eros di cui, nello spettacolo, non c'è traccia. L'unico amore presente è quello per la parola detta, per il teatro, per la polvere del palcoscenico. I cinque interpreti sono però troppo giovani perché si possa credere per un attimo alla sincerità di certe loro disquisizioni, di certe frasi, che si riducono a un affettato birignao, complice una regia pretenziosa che non conosce leggerezza o misura e che si prende un po' troppo sul serio. Dispiace vedere dei giovani così fieramente conformisti a una concezione dell'amore codificata in maniera tanto disgustosamente eterosessista. La sala piena da teatro tutto esaurito dimostra che la voglia di conformarsi a un sentire borghese è diffusa, in un'Italia individualista, ma incapace di un pensiero autonomo. Non si può negare che il teatro Arvalia presenti in questa rassegna Mutamenti forme diverse di teatralità contemporanea, che ricercano in direzioni diverse, ottenendo risultati di diversa caratura, che, data l'ampia varietà rappresentata, difficilmente possono raccogliere il consenso di tutti, figuriamoci quello di chi scrive. Roma, Teatro Arvalia, 19 Aprile 2009
Visto il
al Arvalia di Roma (RM)