Emma Dante porta in scena Esodo, una riscrittura del mito di Edipo e della tragedia sofoclea, frutto di un lungo lavoro con gli allievi della Scuola dei mestieri dello spettacolo.
Emma Dante arriva al Festival di Spoleto 2019 con Esodo, una riscrittura del mito di Edipo e della tragedia sofoclea, frutto di un lungo lavoro con gli allievi della Scuola dei mestieri dello spettacolo.
Affiancati da Sandro Maria Campagna, nel ruolo di Edipo “colui che non ha certo una prospera e invidiabile sorte”, eseguono una partitura all’apparenza tesa all’improvvisazione, ma che nella sostanza è scandita da direttrici interpretative precise, anche se non sempre chiaramente leggibili.
Dolorosa Fiesta
La storia di Edipo è qui la storia di una famiglia, una famiglia migrante, alla ricerca di un luogo, quello che nell’immaginario sofocleo Edipo trovò poi a Colono in Attica, e che nella messa in scena della Dante diventa invece un campo, di gitani o rom, ai margini di una qualsiasi città, colorati e coloriti, dove si mescolano lingue incomprensibili, trasformismi gender, religiosità pagana, sensualità femminile, fisarmoniche e chitarrini.
Così, in questa atmosfera di dolorosa fiesta, si snocciola il racconto che parte dal capostipite Laio, rappresentato dalla scultura di un vecchio accartocciato su se stesso e issato su una sedia, e declina la vicenda ben nota a tutti. Dov’è la contemporaneità indicata nel foglio di sala? Edipo, nella sua ricerca spasmodica della verità, è sempre e da sempre contemporaneo, perché propria di ogni uomo è la sete di conoscenza e la fragilità che conduce all’errore. Il focus della Dante sembrerebbe piuttosto insistere sullo sgretolamento della dimensione familiare, Edipo marito e figlio di Giocasta, sposa e madre di Antigone e Ismene figlie e sorelle del loro padre, che cerca uno spazio simbolico e ideale nel quale ricostruire il senso di comunità.
Un affresco non sempre riuscito
Lo spettacolo guida il pubblico attraverso una sarabanda di suoni e colori, e l’energia sembra essere la sua cifra più riconoscibile. Edipo, nell’interpretazione appunto di Campagna, è un Edipo nervoso, consumato, dai tratti beffardi, una sorta di Totò Principe di Danimarca, circondato da una famiglia che ha le parvenze di una tribù, nella quale tutti possono essere tutti. Antigone e Ismene si assomigliano quasi fossero gemelle, la sorte infatti le unisce, Giocasta non si separa mai dal suo vestito da sposa, quasi un’icona alla Kusturica, Creonte è un sacerdote dallo smaccato accento toscano, Tiresia è una specie di pifferaio che di magico ha molto poco e soprattutto non convince nessuno, la sua cecità è solo un intralcio.
La sensazione, tuttavia, è che lo spettacolo fatichi a decollare, i registri dialettali con cui si esprimono gli interpreti sono spesso scollegati e si fatica a capirne le motivazione (semplice provenienza degli allievi attori?), le battute arrivano spesso acerbe e in alcuni casi le voci sono appena udibili, mentre la concitazione dei movimenti e la sovrapposizione dei simboli soffoca di tanto in tanto il parlato. Esodo è un affresco, dove i colori e le pennellate sono a servizio esclusivo dell’ideazione, la coralità invece risente a volte di troppe citazioni, come la scena del rosario che riporta a De Simone, a volte di iterazioni che andrebbero sfoltite.
Edipo si congeda dal pubblico con una sorta di apologo finale, “non vi daremo disturbo, rispetteremo le vostre leggi…”, l’ennesimo occhiolino alla tragedia dei migranti e alla nostra capacità di accoglienza, forse la contemporaneità è tutta qui?