Il fascino di Essere . Horror dell'adolescenza sta nella molteplicità narrativa del testo, non per una indeterminazione o una polisemicità del racconto, perchè, nonostante la struttura enigmatica dell'intreccio, di giallo dell'anima la storia raccontata, alla fine dello spettacolo, è chiara, determinata e niente affatto ambigua, ma perchè il cuore narrativo di quest'ultima creazione di Giovanni Franci (che cura ogni suo testo firmandone sempre anche la regia, assieme a Marianna Galloni) viene esplorato da più fronti, da più punti di vista.
Dalla dura roccia del suo fatto centrale, un abuso sessuale di una diciassettenne, evocato dalla vittima, unica voce monologante, emanano riverberi emotivi e mnestici che scaturiscono direttamente dal suo racconto che rende veri, fino a concretizzarli per qualche istante sulla scena, i personaggi che evoca, perchè, come dice Jean Renoir, Gli uomini non vivono nel vuoto, quello che li circonda esiste, frase distribuita a mo' d'esergo agli spettatori prima di entrare in sala.
Emanazioni e proiezioni (anche in senso psicanalitico) che vanno a comporre una ectoplasmatica struttura narrativa dove, in uno stato di coscienza prima ludico poi onirico e infine quasi delirante, il racconto si sdoppia e si incrocia tra sogni gotici e ripetizioni, esplicitate in scena dall'uso della voce registrata della protagonista, che raddoppia quella dell'attrice sul palco, o dall'amplificazione tramite un microfono, che prima riproduce in echi lontani, e poi amplifica direttamente la voce dell'interprete, mentre alcuni elementi del testo vengono ribaditi graficamente tramite la videoproiezione intermittente di alcune frasi dette dalla protagonista.
Un crescendo orgasmatico che conduce inesorabilmente dall'adolescenza al tempo presente nel quale la protagonista ha 30 anni, proprio come inesorabile, ineluttabile, è l'approdo alla vita adulta superata la fase adolescenziale...
L'abuso sessuale subito dalla protagonista diventa così, senza confondersi o sovrapporsi, la controparte della questione della (perdita della) verginità che pesa sul corpo femminile come vero e proprio incubo, costituendo una sorte di piccola morte, di perdita, di sconfitta.
Fermo restando l'orrore e la violenza dell'abuso, il testo di Franci sembra infatti suggerire che tutta la costruzione culturale del valore della verginità sia anch'esso un abuso del corpo femminile attraverso il quale ogni adolescente deve transitare. Una verginità che va persa poco importa, agli occhi di una società maschilista, se per abuso, o come pegno d'amore, e anche quando è semplice riappropriazione del proprio corpo è sempre un incubo, il correlativo oggettivo della condizione adolescenziale vista come una condizione horror coagulata nell'attimo della deflorazione.
Un discorso sotterraneo e inconscio con il quale il testo turba la platea e perturba la scena, dove l'angoscia per la storia apparentemente sfilacciata che lo spettatore è chiamato in qualche modo a (ri)costruire, e che prende invece forma e senso man mano che lo spettacolo procede, diventa l'analogo dell'angoscia esistenziale della giovane protagonista colta nel crocevia di un mutamento radicale nel quale la condizione di corpo in continua muitazione ricorda le devastazioni fisiche ed emotive del corpo violato, attraversato dal desiderio sessuato per l'uomo e per la donna, per il sé è l'altro-da-sé, in una sovrapposizione di usi e abusi nei quali l'uomo, il maschio, padre o partner che sia, non può che violare, ferire, distruggere. E così anche la ferita autoinflitta con la lametta è un modo, orrorifico, di essere.
E mentre alla fine dello spettacolo l'agnizione delle condizioni attuali della protagonista getta ancora di più un'ombra amara sui suoi trascorsi, ecco che tutti personaggi evocati nel racconto compaiono in un finale lisergico e liberatorio nel quale il testo stesso, presente in scena come copione, viene fisicamente distrutto e gettato, pagina dopo pagina, direttamente verso il pubblico.
Un testo e una messinscena che chiederebbero un'analisi critica più approfondita di quella che riusciamo a proporre qui senza svelare troppo di uno spettacolo che, naturalmente, va visto per essere apprezzato e i cui simboli e dettagli sanno parlare direttamente all'inconscio dello spettatore anche a giorni di distanza dalla visione.
Una pièce sorprendente che deve molto al talento del suo autore e co-regista che sa scegliere bene anche gli attori con cui lavorare siano essi i perfomer che danno vita ai personaggi evocati (Guido Gangi, perfetto nel ruolo del maschio patriarcale, Marco Aquilanti, il seducente Doberman, concretizzazione dell'abuso, che strappa le pagine del copione, Marianna Galloni, inquietante mater dolorosa e Maria Isabel Galloni fantasma di carne della compagna di banco della protagonista) e last but non least Elisabetta Rocchetti che interpreta con generosità una adolescente che attraversa il guado del cambiamento per approdare a uno stato adulto dal quale non trova modo di proseguire il cammino. Una interpretazione indimenticabile, resa con una grazia e una incoscienza da vera adolescente: indolente, enigmatica e tremendamente seducente. Proprio come lo spettacolo.
In scena fino a Domenica 27.
Da vedere, per riflettere.
ESSERE HORROR DELL'ADOLESCENZA
E se l'adolescenza <em>fosse</em> un horror?
Visto il
17-11-2011
al
Dei Contrari
di Roma
(RM)
ESSERE Horror dell'adolescenza