Milano, teatro alla Scala, Europa riconosciuta
UN’ORGIA DI TECNOLOGIA
L’attesissima inaugurazione del teatro alla Scala, dopo tre anni di lavori di ristrutturazione e restauro, ha visto Riccardo Muti dirigere Europa riconosciuta di Antonio Salieri, l’opera che inaugurò la Scala il 3 agosto del 1778, scelta da Muti volendo evidentemente unire in maniera simbolica la riapertura del teatro con la sua inaugurazione storica. Vicenda di ambientazione arcadica, quella immaginata dal librettista Mattia Veraci, con tanto di duello amoroso in cui il cattivo Egisto perde e muore, mentre la coppia felice, Europa e Asterio, va a regnare su Tiro, poi cede il trono a Sémele e Isséo. Per l’allestimento la Scala ha fatto le cose in grande, con Luca Ronconi regista e Pier Luigi Pizzi scenografo e costumista. Invece i lavori di ristrutturazione portano la firma dell’architetto ticinese Mario Botta: alcune parti sono state demolite e ricostruite ex novo, mentre altre sono state oggetto di restauro conservativo, nella consapevolezza della sovrapposizione come fenomeno delle moderne città. All’interno gli spettatori respirano la stessa atmosfera che caratterizzava la Scala progettata da Piermarini, eliminati i disordinati interventi successivi e con l’arricchimento di migliorie tecniche, tra cui il rifacimento degli impianti e la ricostruzione in legno della platea. All’esterno invece entrano a far parte dello skyline di Milano la grande torre, che contiene la moderna macchina scenica, ed un volume a pianta ellittica, sopra i tetti di copertura, destinato ai camerini, entrambi arretrati rispetto alla strada e rivestiti in pietra chiara. Il risultato è funzionale e bello a vedersi.
L’atteso spettacolo si rivela però noioso. Salieri era moderno per la sua epoca: curava la messa in scena dei suoi lavori (numerosissime le didascalie ai libretti), era capace di un taglio drammatico originale alle opere, in molte delle quali introduce balli e pantomime, era incline agli sviluppi più moderni dell’opera, poiché era un cultore della riforma di Gluck, suo maestro. Gli elementi della riforma portavano all’unità del melodramma ed erano: la sinfonia deve introdurre l’atmosfera dell’azione, il coro ha funzione di personaggio, scompare la differenza tra recitativo ed aria. Ma questo non basta: se Europa riconosciuta non è mai più stata eseguita dopo la stagione inaugurale un motivo c’è. Oltre i ruoli dei cantanti, che a volte superano il limite della fattibilità, la partitura ripetitiva, l’ampio uso di recitativi, la carenza di azione in una storia fitta di intrecci, sono solo alcuni dei motivi di scarso interesse. Lo stesso allestimento sembra rispondere alla necessità di mostrare alcune potenzialità del nuovo e tecnologico palcoscenico, piuttosto che un progetto registico e scenotecnico. Invero alcune invenzioni sono molto efficaci: il palcoscenico si solleva e mostra il coro ordinatamente seduto al di sotto, l’arrivo di Isséo e dei suoi cavalieri sulla sella di innumerevoli cavalli finti (simili a monumenti equestri), l’enorme intreccio di tubi ad evocare la prigione di Europa e Asterio, la nave che all’inizio fa naufragio e gira per il palcoscenico prima di spezzarsi in due (l’overture è forse l’unico momento in cui la musica ha una forte carica drammatica, nella descrizione della tempesta che provoca il naufragio di Asterio ed Europa). Il retropalco ed i muri di fondo scena sono sempre volutamente lasciati in vista, con specchi che spesso mostrano il dietro le quinte (e questo è bello, perché lo spettacolo lo fanno anche i tecnici di palcoscenico). Dominanti sono grigio, nero, acciaio e specchio, con uniche note di colore i vestiti rosso, oro e viola della Rancatore.
Ma un motivo che rende imperdibile questa Europa c’è: il cast dei cantanti. Diana Damrau (Europa) e Desirée Rancatore (Sémele) hanno due parti irte e difficilissime, oltre i limiti del virtuosismo, e le portano fino in fondo con una capacità unica, strappando lunghi applausi anche agli spettatori meno convinti dello spettacolo. In modo particolare ho apprezzato l’aria di Sémele “Quando più irato freme”, una vera gara di virtuosismo tra la Rancatore e l’oboe concertante, in cui il soprano è di una bravura da leggenda. Nelle parti originariamente destinate ai castrati ottima prova per Genia Kuhmeier (Asterio) e Daniela Barcellona (Isséo). Regge bene il confronto con queste donne talentuose Giuseppe Sabbatini (Egisto).
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto a Milano, teatro alla Scala, il 19 dicembre 2004, repliche fino al 15 gennaio 2005.
Visto il
al
Teatro Alla Scala
di Milano
(MI)