EURYDICE

La gioventù, l'ideale, l'abisso

La gioventù, l'ideale, l'abisso

Ha la nitidezza cristallina di un lavoro profondamente gustato, capito, goduto, questo allestimento dell'Eurydice di Anouilh a cura del Teatro della Tosse di Genova. Emanuele Conte torna al drammaturgo francese (noto soprattutto per la sua rilettura del mito di Antigone) e alla storia senza tempo di Orfeo ed Euridice con un allestimento sperimentale, curato nella bellezza complessiva, ancor più che nella mania del particolare, il cui sottotitolo provocatorio è appunto "Questo non è un film": omaggio a "Questa non è una pipa" di Magritte, ma anche e soprattutto alla tradizione cinematografica, alle pellicole minimali e fumose della Nouvelle Vague, di quell'orizzonte francese del secondo dopoguerra così vicino ad Anouilh.

Il richiamo al cinema di Truffaut e Godard è presente nella scelta dei colori per i costumi e la scenografia, dal grigio lucido a specchio del buffet ferroviario, agli abiti dei personaggi e, soprattutto, in un uso sapiente del filtro "schermo" a separare l'azione scenica dal pubblico, ma anche i personaggi stessi tra loro, specie dopo che la tragica vicenda della protagonista, con la sua morte precoce, divide drammaticamente un "prima" e un "dopo".

C'è una perfetta e mai insistita interazione d'insieme, tra gli attori del cast, nel quale giganteggiano gli adulti, perlopiù impegnati in doppi ruoli (uno su tutti, Campanati che si divide tra il padre di Orfeo e l'impresario) ma spiccano anche le delicate e nitide figure dei giovani protagonisti: Orfeo ed Eurydice, il cui dramma senza tempo riesce ancora a incarnare l'avida ricerca di vita e di ideale di chi non vuol piegarsi all'opaco mondo della vita adulta e preferisce cristallizzare l'amore in un giorno eterno di bellezza, piuttosto che in anni di medietà e grigiore.

C'è un salto nascosto, tra questi filtri scenici, nello schermo trasparente, nello spazio tra i personaggi: è il salto misterioso del coraggio di vivere, affrontare il non detto, l'imprevisto, l'ignoto, perfino la banalità di un amore che appassisce. Orfeo non riesce ad affrontare questo salto ed è proprio in questa mancanza di coraggio - non tanto nei dubbi sulla condotta di Eurydice - che si gioca la condanna a lui e alla sua compagna.

Un esiziale quanto franco Hermes, un padre vigliaccio e attaccato alle meschinità della vita, lo persuaderanno nella scelta definitiva di consegnarsi alla morte e tornare ad Eurydice: ma a questa ammissione di "umano, troppo umano" manca il coraggio di tornare sui propri passi e tornare a vivere, non per ignorare quello spettro di grigiore, quanto per sfidarlo. Resta nel suo sacrificio una sfida, un interrogativo, forse anche un barlume di speranza, a beneficio di noi spettatori. Perché l'abisso delle tenebre è qualcosa che possiamo affrontare tutti i giorni, guardandolo negli occhi. Anche questo rende sempre attuale un vecchio mito.

Visto il 26-10-2016
al Della Tosse di Genova (GE)