Non si è preparati per uno spettacolo di Richard Maxwell, regista e drammaturgo americano, direttore artistico della compagnia New York Players, uno degli autori sperimentali più controversi della scena teatrale contemporanea.
The Evening, da lui scritto e diretto, presentato in esclusiva italiana, al Teatro Arena del Sole il 19 e 20 maggio non è uno spettacolo in senso stretto, è più un’esperienza teatrale, è l’essere disorientati, destabilizzati, confusi ma al tempo stesso affascinati, coinvolti, totalmente catturati.
Liberamente ispirato a Inferno di Dante, lo spettacolo è il primo capitolo di un trittico ispirato alla Divina Commedia. Lo spettacolo è la storia di un viaggio personale e intimo, è una metafora delle possibilità antieroiche: possibilità che non si concretizzeranno mai, che non raggiungeranno mai un compimento.
Il titolo, The Evening, ha due connotazioni: fa riferimento al concetto di fine, fine della vita, conclusione, e infatti la sera rappresenta la fine del giorno e il preludio di un nuovo giorno, la possibilità di un domani – che non necessariamente si compirà; e fa riferimento al fatto che è proprio di sera, al crepuscolo che si apre la Divina Commedia e che ha avuto inizio il viaggio di Dante negli inferi.
Un aspetto interessante che emerge in questo spettacolo è l'importanza che il concetto di spazio assume per Maxwell, nello specifico è interessato alla topografia dell’inferno, alla sua struttura interna e intima: nel suo lavoro emerge l’idea di creazione di una mappa di un inferno umano personale e universale. Il regista afferma infatti che durante la lavorazione e scrittura di questo spettacolo, in un certo senso lui stesso si è trovato a dover attraversare un “inferno” metaforico e non solo, affrontando la sfida di misurarsi con il celebre testo di Dante (che trova molto distante da sè) e assistendo il padre durante il periodo che ne ha preceduto la scomparsa.
Non a caso The Evening inizia con un prologo tratto dal diario che lo stesso Maxwell teneva durante gli ultimi giorni di vita del padre: “Ho continuato a cercare di scrivere, mentre mio padre stava morendo. Mentre scrivevo, mi sono sentito sempre più come se fossi io quello di cui scrivevo. In realtà, la sensazione era quella di essere non scritto e privo di forma”.
Maxwell spiega la sua sensazione di sentirsi "de-scritto", di essere in un certo senso non “scritto” dalla scrittura, dal racconto: una dimensione chiaramente passiva riferita al vivere la perdita di un caro - in questo caso di un genitore, evento su cui non si ha alcun tipo di controllo ne ‘potere, ma che si subisce, come si subisce tutto ciò che ne segue.
The Evening è un lavoro tragico, fortemente ironico, sarcastico, a tratti cinico e disincantato, che sorprende e incuriosisce.
In scena non personaggi in senso stretto, ma archetipi, tre emarginati, tre “losers”: una cameriera/prostituta, un cage fighter (lottatore da gabbia) sul viale del tramonto e il suo manager corrotto. Tre figure ai margini della società, in bilico tra ciò che loro malgrado sono e ciò che potrebbero e vorrebbero essere, tre “ghosts”, tre fantasmi che abitano questo moderno Inferno dantesco - che si muovono a fatica in questo spazio claustrofobico e asfissiante, che li costringe a ripetere ogni giorno le stesse azioni, a mettere in atto le stesse dinamiche relazionali, a pronunciare le stesse parole e che non concede spazio alla speranza di un cambiamento, di una via di fuga; tre entità, tre “funzioni drammaturgiche” che assumono i tratti di personaggi, diventano tali.
Il teatro di Maxwell affronta e sviscera il rapporto tra realtà teatrale e finzione, per l’autore la scrittura dovrebbe cercare di indagare il confine tra personaggio e persona.
Ed è proprio in questa zona di confine, in questa "crepa" che si crea tra personaggio e persona che tutto accade, che il teatro prende vita. Il personaggio e la persona sono due entità distinte, che si influenzano vicendevolmente, pur restando separate: l’essere un personaggio deve essere controbilanciato dall’essere una persona, c’è una dialettica costante tra di loro (per esempio durante lo spettacolo ad un certo punto la cameriera/prostituta spara prima al cage fighter e poi al manager, spara ai due personaggi in scena, quindi a regola muoiono, ma subito dopo viene svelato il trucco della “morte in scena” e il reale e l’irreale si confondono, confluiscono insieme in una nuova dimensione, quella teatrale).
Maxwell esplora la capacità perturbativa dei meccanismi che si innescano tra la scena e gli spettatori - portandola al limite: la relazione con il pubblico alimenta il personaggio.
La sua creazione, come dice lui stesso, è un “work in progress”, la scrittura del testo e la scrittura scenica vanno di pari passo e si influenzano reciprocamente; un altro aspetto singolare è la forte presenza della musica in scena, eseguita dal vivo da una band: per Maxwell, che è anche autore e compositore delle ballate dello spettacolo, la musica è un elemento fondamentale, che attraversa e accompagna il succedersi delle azioni sceniche e sottolinea momenti specifici e situazioni emotive.
Questa sua duplice natura creativa musicale e teatrale ricorda il modus operandi di un'altra tra le figure più significative del teatro statunitense contemporaneo: Sam Shepard.
Commediografo, sceneggiatore, attore e scrittore, Shepard, esordì come drammaturgo d'avanguardia sulla scena newyorchese dell’off e dell’off-off Broadway negli anni ’60 e soprattutto nei suoi primi testi sperimentava a piene mani il connubio dialettico tra musica e testo, esplorando le commistioni che si creavano dal loro incontro/scontro.
Maxwell ha una lucida e implacabile capacità di indagare in maniera personale e innovativa il lato oscuro dell'essere umano, di svelarne la vera natura - nuda e cruda, realizzando uno spettacolo di grande densità e originalità espressiva; il suo è uno stile molto personale, una misura singolarissima di realismo poetico, in grado di creare dei veri e propri racconti mitici a partire dalla realtà, sondando i recessi della psiche collettiva americana e la feroce ambivalenza delle sue istituzioni e delle sua società.
La scrittura di Maxwell, coerente e minimale, lancia all'attore sfide interpretative molto stimolanti perché lo mette di fronte a personaggi improntati ad un minuzioso realismo, ma nel contempo dotati di una forza archetipica e di un linguaggio che li trasforma in emblemi, e li spinge oltre le convenzioni del naturalismo. Le conversazioni sono circolari, surreali, vengono pronunciate assurdità con tono impassibile e un aplomb invidiabile.
Per Maxwell è fondamentale trovare una relazione con il pubblico, che è poi l’essenza del fare teatro: creare una relazione, comunicare, entrare in contatto con l'altro, perché come diceva Grotowski "il teatro non è indispensabile, serve ad attraversare le frontiere tra te e me".
Maxwell ha fatto suo l’insegnamento del regista e teorico polacco e indaga proprio questa "frontiera", lo spazio tra persona e personaggio, utilizzando vari registri di scrittura che creano appunto questi spazi ed è proprio in essi che si colloca il pubblico, è qui che nasce la relazione con gli spettatori. In questi spazi si annulla la cornice della finzione e ci si imbatte nella realtà, in questo limbo reale la scena si apre alla vita.
Per esempio il prologo iniziale è chiaramente un’apertura alla realtà della persona, non è il personaggio, ma è l’attrice che interpreta il personaggio che in quanto persona legge le pagine del diario che Maxwell ha scritto durante gli ultimi giorni di vita del padre.
Il piano della finzione e della realtà nei lavori di Maxwell si confondono e compenetrano continuamente, ed è proprio questo l’aspetto che viene indagato durante le prove, in questo “terra di mezzo”, in questo limbo si vive una sfida: la continua ricerca di un altrove che caratterizza i personaggi/persone dei suoi lavori.
In "The Evening" i tre personaggi, o meglio i tre archetipi in scena convivono con una tensione costante tra il voler andare e il voler restare, e questo desiderio appartiene ad ogni personaggio e in fondo anche in ogni persona. Definito il "regista dell’impassibilità" per i dialoghi surreali e la distanza emotiva tra i personaggi e le parole che pronunciano, le opere di Maxwell si contraddistinguono per lo stile di recitazione non viscerale e una regia estremamente neutra e lineare.
Gli attori di Maxwell sono impassibili, distaccati, freddi, sembrano quasi privi di emozione, costantemente altrove emotivamente. L’attore che interpreta, o meglio che fa il personaggio che va in scena è legato a doppio filo con la scrittura testuale e scenica.
“Questo è il solo posto dove puoi sperare di stare” dice a un certo punto il cage-fighter alla cameriera/prostituta.
In questa frase c'è forse la chiave e l'essenza di questo lavoro fatto di monologhi, dialoghi assurdi, fiction e musica dal vivo, attraversato da un'antica nostalgia - a tratti quasi poetica - che caratterizza il piccolo mondo in cui vivono i tre personaggi, che non è solo uno spazio fisico e reale, ma è anche uno spazio mentale, una dimensione interiore che assume i caratteri di un bar desolato perso nel nulla, perché in fondo i personaggi sono questo: delle isole, dei piccoli universi di solitudine, sono vittime di loro stessi, la loro colpa – se di colpa si può parlare, è non aver dato seguito al loro slancio di vita, essersi accontentati, o meglio essersi adattati al corso delle cose, alla piega che ha preso la loro esistenza e così la nostalgia che avvolge queste creature sospese e irrimediabilmente "non compiute", non finite, non realizzate pienamente assume i tratti di una profonda e toccante malinconia, amara e sublime al tempo stesso.