Ventitré anni separano la produzione di Evgenij Onegin approdata nel Teatro Comunale di Bologna, nell’allestimento del Teatr Wielki, Opera Narodowa Varsavia, dalla messinscena del 1991 con la regia di Robert Sturua e la concertazione di Vladimir Delman. In questo lungo periodo d’assenza dalle scene felsinee la regia lirica ha subito svariati mutamenti, già in atto in quel periodo. In quest’occasione lo spettacolo ideato dal regista Mariusz Trelinski, coadiuvato alle scene da Boris Foltýn Kudlička e ai costumi da Joanna Klimas, immagina l’opera come un sogno senile di un anziano Onegin affidato all’abile Emil Wesołowski, coreografo della produzione. “O” è un personaggio muto, abbigliato candidamente, che con un bastone tra le mani volteggia sul palco decidendo chi colpire e chi salvare quasi riproponendo, come da un copione, la propria vita trascorsa. Rimangono vari interrogativi in merito alla caratterizzazione non sempre riuscita dei personaggi, alla visione onirica sovrastante l’intera narrazione, alla decisione di tagliare momenti fondamentali della partitura (in particolare il coro di contadini nel quadro primo dell’atto primo). Le scene non colpiscono per inventiva, fatta salva la foresta di ghiaccio, sfondo al duello tra Lenskij e Onegin. Al contrario le luci di Felice Ross, riprese da Sofia Alexiadou, paiono inserirsi con maggiore compiutezza nello spettacolo, mentre i costumi di Joanna Klimas rispecchiano alcune carenze.
L’indefinitezza visiva sembra specchiarsi nella debolezza musicale. Il giovanissimo direttore uzbeco Aziz Shokhakimov pecca di scarsa attenzione nei confronti delle voci che spesso sono allo sbando, mentre la compagine bolognese segue le indicazioni poco attente del concertatore. Le raffinatezze di una scrittura quasi cameristica, legata indissolubilmente alla drammaturgia, si perdono tra le maglie dell’imprecisa prova dell’Orchestra del Teatro Comunale, solitamente corretta e coesa. Appena sufficiente la prova del Coro istruito da Andrea Faidutti.
Il cast vocale non risolleva la situazione, anzi contribuisce a far scivolare la produzione nel baratro di un’indefinita mediocrità. Il protagonista è affidato ad Artur Rucinski, baritono polacco dal quale ci si aspetterebbe una prova ben superiore a quanto udito. Il cantante, assai versatile in scena e dotato di espressiva mimica facciale, è tecnicamente accidentato con problemi d’intonazione, fraseggio trascurato e disomogeneità vocale. Il tutto contribuisce a rendere sbiadita la figura del dandy Onegin, impreciso negli accenti e nella caratterizzazione. Risulta più convincente la prestazione di Sergej Skorokhodov, Lenskij, il quale sfrutta il proprio strumento, naturalmente dotato, per delineare il candido poeta. Salvo alcuni incidenti di percorso e qualche emissione non bene a fuoco, Skorokhodov porta a compimento la recita dignitosamente. L’interprete del Principe Gremin si trova ad intervenire nell’opera unicamente con l’aria del terzo atto “Lyubvi vsye vozrasti pokorni”: per questo motivo pochi minuti decretano l’esito dell’intera prestazione. Alekej Tanovitskij non è in grado di rendere giustizia al personaggio e per intonazione problematica e per mancanza di nobiltà nel fraseggio. Thomas Morris è uno svenevole Monsier Triquet circondato da toy boy seminudi con tanto di alucce rosa. Il versante femminile è per certi versi più critico. Larina e Filipp’evna sono rispettivamente una debole Elena Traversi e una inqualificabile Cristina Melis. Nel triste contesto generale viene risucchiata anche l’Ol’ga di Lena Belkina la quale affronta con superficialità il personaggio, pur palesando una linea di canto nel complesso corretta. Lascia più di un dubbio la Tat’jana di Amanda Echalaz che, per sopperire alle lacune di un’emissione a tratti al limite, tralascia una compiuta definizione del personaggio. Benché il suo strumento denoti potenzialità di un certo interesse, la Echalaz affronta la recita peggiorando man mano fino a manifestare nel terzo atto alcune spoggiature, emissioni calanti e interpretazione disattenta. Relativamente più accettabile il primo atto. A completare la locandina Nicolò Ceriani, un capitano della guradia, e Luca Gallo, Zareckij.
Scarso il pubblico per un’opera ultimamente poco frequentata. Gli applausi al termine non sono parsi entusiastici.