Evgenij Onegin, l'opera russa forse più amata

Evgenij Onegin, l'opera russa forse più amata

Quando un artista d'altra nazionalità affronta un'opera russa, sorge ogni volta il problema dell'idiomaticità dell'interprete. Troppo scrupolo? Forse sì. In fondo, sino all'altro ieri al Bol'šoj Mozart e Rossini si cantavano in russo, e buonanotte. Riflessione che nasce perché le due figure cardine di Evgenij Onegin, il capolavoro di Čajkovskij che inaugura la nuova stagione 2017/18 del Teatro Verdi di Trieste, sono nelle mani di un baritono romeno, Catalkin Toropoc, e di un giovane soprano italiano, Valentina Mastrangelo.

Nei panni dell'ambiguo e cinico personaggio di Puškin, Toropoc non si risparmia. Mette in campo una salda personalità, donando ampio spessore al personaggio, con una colonna di fiato generosa ed un timbro bronzeo e pastoso. Ma, ahimé, con qualche piccola caduta d'intonazione.
La Mastrangelo ha percorso sinora una carriera essenzialmente belcantistica; non proprio il massimo per una Tat'jana plausibile. Per di più sconta il limite della relativa inesperienza, e quindi questo complesso carattere – al di là del lodevole impegno, e dell'indubbia freschezza e correttezza vocale - non riesce del tutto compiuto e convincente.

Molte nazionalità sulla scena

L'armeno Tigran Ohanyan offre un Lenskij carico di temperamento, sapientemente sfumato nelle sue macerazioni psicologiche, con un «Kuda, kuda» struggente. La moscovita Anastasia Boldyreva disegna con pregevole espressività – siamo di fronte ad un contralto di chiara bravura - la sua Ol’ga, gioiosa e civettuola. La bella aria del compassato Gremin è risolta con nobile ed ardente fraseggio dal basso bulgaro Vladimir Sazdovski. Lodevoli i due mezzosoprani in scena, Giovanna Lanza (Larina) e Alexandrina Marinova Stoyanova-Andreeva (Filipp’evna).

Gli stravaganti couplets di Triquet sono ben abbozzati da Dmytro Kyforuk; appropriati il Capitano di Hiroshi Okawa e lo Zaretskij di Roberto Gentili. Buona prova del Coro.
La direzione di Fabrizio Maria Carminati, qui al suo primo Onegin, scansa impeti romantici e ruvide nervosità, a favore di una lettura intimistica, volta a smussare i contrasti e conquistare un raffinato equilibrio. Più incline insomma a sottolineare i preziosismi strumentali ed a sostenere adeguatamente il lavoro dei cantanti, che a scavare nei forti contrasti e nelle scabre asperità della partitura.

L'originalità non abita qui

L'allestimento arriva dall'Opera di Sofia. La tranquilla regia di Vera Petrova imposta una sorta di flashback, con Onegin onnipresente a leggere o meditare alla scrivania in primo piano, o vagante sulla scena pur dove non previsto.
Magari infastidendo con la sua ingombrante presenza la stesura della lettera di Tat'jana; o ritardando senza ragione l'apertura di sipario sulla festa in casa Gremin. Le imponenti scene girevoli di Alexander Kostyuchenko svolgono a dovere la loro funzione, pur non brillando per originalità; cosa che si può dire anche dei tradizionali costumi di Steve Almerighi.