Lirica
FALSTAFF

FALSTAFF MEDITERRANEO

FALSTAFF MEDITERRANEO

Come ogni anno il 13 dicembre, giorno di S. Lucia, il teatro Filarmonico ha inaugurato la nuova stagione lirica: in scena il Falstaff di Verdi. Siamo di fronte ad un'opera perfetta, a partire dal libretto, un'opera che risente indirettamente di tutto il gusto del teatro di Shakespeare, priva di recitativi e quasi senza arie, essenziale, depauperata di qualunque orpello, ultimo guizzo di un grande genio ormai ottantenne che ci regala il meglio della sua maturità. Ad essere messa in scena è la tragicommedia della vita, in uno spettacolo corale ove il protagonista è il perno attorno al quale ruotano tutti gli altri personaggi, ognuno col proprio ruolo, ognuno importante, ognuno diverso dagli altri.

Il nuovo allestimento proposto dalla Fondazione Arena di Verona per la regia di Luca Guadagnino, le scene di Francesca di Mottola e i costumi di Antonella Cannarozzi, sebbene si collochi nella linea di una rassicurante tradizione senza particolari coups de théâtre, ha comunque il pregio di ben evidenziare le caratteristiche dei singoli personaggi e di saper ricreare quell'atmosfera mista di comico e malinconia tipica di quest'opera.
L'azione sembra ambientata in area mediterranea, lo si intuisce dal gusto moresco delle architetture che dominano la scena, in una qualunque colonia inglese suggerisce il regista (ma l'Africa del nord non fu quasi nella sua totalità di colonizzazione francese?). L'epoca, per quanto appare dai costumi, è individuabile nella seconda metà del Novecento, forse addirittura circoscrivibile agli anni Settanta.
Quattro le ambientazioni di base: l'osteria della Giarrettiera, vista dall'interno prima e dall'esterno poi, identificata da un tramezzo di legno traforato nel quale si aprono tre porte, il giardino previsto nella seconda parte del primo atto con tanto di palma e scalinata coronata da arcate di sapore orientaleggiante, la casa di Ford dove, ai lati di una finestra del consueto legno traforato, si impone una serie di tendaggi mobili color panna, il parco di Windsor in cui, circondato da una struttura architettonica simile ad un chiostro in male arnese, spicca un enorme albero lussureggiante munito di radici aeree.

Alberto Mastromarino è un Falstaff, oltre che vocalmente corretto, fisicamente e attorialmente credibile; Vittorio Vitelli un ottimo Ford dal timbro corposo e dal morbido fraseggio; Francesco Demuro un Fenton con qualche difficoltà in acuto e nelle mezze voci, dove il suono risulta talvolta spezzato. Sul versante femminile efficacissima la Mrs. Quickly di una Elisabetta Fiorillo strepitosa, sia sul versante della recitazione, sia su quello del canto: ella, infatti, si mostra capace di suscitare il sorriso senza strafare e soprattutto senza cadere nel paradosso; è inoltre dotata di una voce dallo splendido timbro scuro, sempre ben controllata e calibrata ad ogni passaggio. Solide e ben comprese nella parte anche l'Alice di Virginia Tola, la Meg di Manuela Custer e la vezzosa Nannetta di Serena Gamberoni.
Validi anche i personaggi di contorno, che nel Falstaff non sono certo di secondaria importanza, il Bardolfo in versione dandy di Nicola Pamio, l'imponente Pistola di Ziyan Atfeh, l'occhialuto e puntiglioso dott. Cajus di Saverio Fiore e, per finire, l'oste della Giarrettiera di Roberto Adriani.

Non in grande forma ci è parsa l'Orchestra dell'Arena di Verona, diretta da Daniele Rustioni che in qualche punto ha faticato nel far accordare buca e palcoscenico; buoni gli interventi del coro dell'Arena.

Teatro con alcuni posti vuoti nonostante la serata di gala, pubblico però prodigo di applausi per tutti gli artisti.

Visto il
al Filarmonico di Verona (VR)