Lirica
FALSTAFF

Jesi (AN), teatro G. B. Pergo…

Jesi (AN), teatro G. B. Pergo…
Jesi (AN), teatro G. B. Pergolesi, “Falstaff” di Giuseppe Verdi IL TRAMONTO DI UN’EPOCA Falstaff è l’ultima opera di Verdi. E Verdi sapeva che sarebbe stata l’ultima. In Falstaff Verdi risolve in chiave ironica la lettura pessimistica del mondo che aveva fino ad allora permeato il suo teatro in musica e, con la saggezza dell’età, guarda quasi senza risentimenti il crollo delle aspettative risorgimentali. Così si permette di scherzare intorno ad un sentimento, la gelosia, e alle “corna”, che erano al centro della tensione drammatica della sua opera precedente dal tragicissimo epilogo, Otello. Falstaff è invece un supremo gioco della fantasia, un assoluto equilibrio tra principi strutturali e le loro disposizioni secondo il ritmo musicale. Qui si trova l’essenza di Falstaff e qui sta anche la sua irripetibilità. Falstaff è una realizzazione stilistica possibile solo ad un artista che può contemplare, essendo alla fine della carriera, con sereno distacco e quindi con sorridente malinconia quelle stesse passioni che avevano agitato le figure di tutte le altre sue opere. Solo che qui quello che era sofferenza, pena e pietà, si risolve in divertimento. E burla. I personaggi in Falstaff non sono figure delineate a tutto tondo, ma solo frammenti che entrano a far parte del gioco in scena e ne caratterizzano lo svolgimento; tra loro si differenziano poco, quello che basta per essere riconoscibili, senza tuttavia imporsi come individualità assolute. Insomma ciò che importa a Verdi non è tanto il porsi degli individui, il loro rappresentare un aspetto particolare degli esseri umani, quanto piuttosto il loro presentarsi insieme, come parti di un gruppo. Infatti lo svolgimento della vicenda non è altro che un alternarsi di questi gruppi. Così la forza dell’allestimento jesino è nell’equilibrio. L’apparato scenotecnica è del teatro Verdi di Trieste, fedele alla partitura in un tempo storico poco determinato, come i costumi, non legati ad un determinato momento. La regia esperta di Antonio Calenda accentua gli spunti divertenti, con la complicità di un cast duttile e plasmabile dal punto di vista attoriale. Alfonso Antoniozzi nel ruolo del titolo e Gianpiero Ruggeri in quello di Ford emergono sugli altri, ma va detto che c’è un grande bilanciamento di voci tra tutti i cantanti e questo, come dicevo, è la bellezza dello spettacolo. Oltre ai citati, Francesca Pedaci è Mrs Alice Ford, Damiana Pinti è Mrs Meg Page, Daniela Bruera è Nannetta, Cinzia De Mola è Mrs Quickly (peccato il suo “reverenza” troppo appoggiato sull’ultima “e”), Dmitry Korchak è Fenton, Stefano Pisani è il dottor Cajus, Alessandro Cosentino è Bardolfo e Miguel Angel Zapater è Pistola. In ogni atto c’è un richiamo all’autunno, prima un albero con foglie secchie a destra, poi uno a sinistra, poi una radice enorme in penombra, poi un enorme tronco tagliato e appoggiato sul palcoscenico (lo stesso del Re Lear prodotto dallo stabile friulano, regia Antonio Calenda, protagonista Roberto Herlizka). Sempre foglie secchie a terra. Sul finale il tronco si alza, sollevato da catene di ferro e moderne carrucole, e tutti si avviano verso fondo scena. Tranne Falstaff, che rimane in proscenio, si siede, li guarda, sorride e li saluta con affetto e, forse, con nostalgia. Falstaff saluta così il tramonto di un’epoca. Verdi sapeva che Falstaff sarebbe stata la sua ultima opera. E che un’epoca tramontava. FRANCESCO RAPACCIONI Visto a Jesi (AN), teatro G. B. Pergolesi, l’11 ottobre 2005.
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