“Falstaff” ha chiuso a Bari una stagione connotata da grandi registi (Livermore, Nekrosius, Krief) e ora l'attesa è sentita per la nuova, dove la regia lirica si lega a quella cinematografia offrendo i ruoli a Gianni Amelio, Ferzan Ozpetek, Marco Bellocchio a cui si sommano gli attesissimi Damiano Michieletto, Graham Vick e William Kentridge in lavori che hanno già riscosso unanimi consensi.
Il Petruzzelli, ultimo arrivato tra le fondazioni lirico-sinfoniche, ha trovato un suo posto di rilievo nel panorama nazionale e immediatamente riconoscibile sia per gli spettacoli proposti, sia per le masse artistiche utilizzate, sia per il pubblico: a questa recita conclusiva della stagione a cui abbiamo assistito la quasi totalità del pubblico era composta da giovanissimi. Bravi i ragazzi baresi, bravi gli addetti del teatro.
Nel programma di sala viene ribadito più volte che è il terzo “Falstaff” per Luca Ronconi, i primi due con direttori di peso quali Solti e Mehta in festival di prestigio come Salisburgo e il Maggio fiorentino. Qui sembra essere stato innervato dalla giovinezza del direttore Daniele Rustioni e dell'orchestra (età media inferiore a 30 anni), oltre che dall'aria levantina di Bari.
Ronconi si rivolge all'Ottocento di Verdi e Boito ma per trasfigurare quella tarda rivoluzione industriale italiana in chiave malinconica. Ne risulta un'amara commedia che non disdegna il sorriso ma che rivela uno spessore accentuato a prescindere da Shakespeare e da implicazioni psicologiche moderne qui non evitate ma presentate in nuce. Il regista è efficace nel ripensare i rapporti di forza tra i primari e nel descriverli nei loro caratteri vivi e presenti, originali senza alterare il libretto e il senso della storia, ottenuti con espressioni del viso, curatissimi gesti, movimenti pieni di senso e significato.
Le “comari” non sono più ciarliere donne di provincia ma figure intelligenti e volitive, dai caratteri forti e determinati che condizionano gli eventi secondo il loro volere e non esitano a mostrare le loro reciproche invidie: lo oche che appaiono due occasioni finiscono per essere spennate e nutrite a forza con l'imbuto. Falstaff è un signorotto agée ma non anziano ben amalgamato con un Ford arricchito, aitante e geloso.
La semplice scena di Tiziano Santi ha ai lati del palcoscenico tra grandi tele di stoffe grezze macchiate dallo scorrere del tempo (nella camera di Alice una diventa un drappo fiorato rosa che occupa anche il pavimento) tese con funi a vista e si caratterizza per le macchine dell'epoca (a vapore, a pedali, a trazione manuale e animale) usate dai protagonisti per entrare e uscire e anche nei movimenti sul palco. Pochi gli attrezzi di scena, gli indispensabili, stondati negli angoli e con un che di favolistico nei profili, nella camera di Fastaff ammassati come dopo un naufragio. Nell'ultimo quadro una grande quercia pende dall'alto rovesciata e incombe sopra il lettone del protagonista: sogno, burla? Questa rarefazione nella scena secondo noi giova particolarmente all'azione che ne esce esaltata. A terra tappeti erbosi, ingiallito quello per Fastaff, verde brillante quello per le Signore. Bellissimi i costumi d'epoca di Maurizio Millenotti che ricreano un ambiente borghese senza falsa ostentazione. Determinanti nella riuscita dello spettacolo le perfette luci di AJ Weissbard nell'illuminare un mondo reale e al tempo stesso simbolico.
Eccellente l'esecuzione vocale e musicale. Roberto De Candia fa del ruolo del titolo un capolavoro d'interpretazione per prestazione vocale e definizione del personaggio in base a criteri teatrali moderni. Il timbro è molto bello e valorizzato da un'emissione perfetta unita a un'ideale musicalità; gli acuti sono facili e timbrati, i centri sonori arricchiti da armonici preziosi, i gravi sensuali e illanguiditi da ironica baldanza. La differenza ulteriore la fa l'accento, scevro da manierismi e gigionate e basato su un'eccellente dizione. Il Fastaff di De Candia e Ronconi insomma non è uno sciocco e buffoneggiante anziano ma un aristocratico decaduto, un ragazzotto mai cresciuto e figuriamoci invecchiato (la dice lunga quel maglioncino con la “F” sopra). Il timbro di Artur Rucinski si integra alla perfezione con quello di De Candia e il suo Ford è ideale per ampiezza vocale, linea facile e solida, varietà d'accenti: un uomo aitante che ha accanto a sé una donna piacente e calcolatrice e la reazione di gelosia non è vuota e bestiale. Leonardo Cortellazzi è un Fenton pieno di charme (anche con la tuta da meccanico) con voce giusta e acuti ben timbrati che forma un'adorabile coppia con la Nannetta di Rosa Feola, magnifica sempre e soprattutto nei dolcissimi la bemolli “alla luna”. Serena Farnocchia canta bene e lasciando capire il suono e il senso delle parole: la sua Alice si apprezza per il timbro generoso, la linea morbida e la sensualità intelligente di una voce che esprime alla perfezione il ruolo voluto dal regista. Accanto a lei, adeguate, la Quickly cupa e introversa di Barbara Di Castri e la straordinaria Meg di Monica Bacelli, non subalterna ad Alice ma rivale ad armi pari, invidiosa dell'amica in modo prepotente e preponderante. Bravi Massimiliano Chiarolla e Domenico Colaianni (Bardolfo e Pistola), meno a fuoco il Cajus di Raùl Gimènez. Il coro del teatro è stato ben preparato da Franco Sebastiani. Le comparse si muovono con piena coerenza e grande attorialità e, nella scena del bosco, indossano splendidi costumi da insetti che colorano l'atto di toni da leggero incubo.
Daniele Rustioni ha un rapporto privilegiato con l'orchestra del Petruzzelli di cui è direttore musicale da febbraio: notevole è la varietà cromatica nel rispetto dei tempi e dei pesi timbrici. La dinamica aderisce perfettamente alla narrazione ideata da Ronconi e la arricchisce di malinconici chiaroscuri che esaltano ancora di più i momenti di ironica vivacità (quelli delle Signore, mai come qui padrone della situazione come lo stesso Verdi le voleva) e di involo lirico (quelli degli innamorati) in una straordinaria forza comunicativa che conquista la platea del Petruzzelli, giova ripeterlo, gremita di giovanissimi entusiasti dello spettacolo.