Napoli, teatro di San Carlo, “Falstaff” di Giuseppe Verdi
FALSTAFF IN SCENA
Shakespeare era uno degli idoli di Verdi: “il gran maestro del cuore umano” lo definisce in una lettera del 1872. In ciascuna delle sue opere shakespeariane Verdi si accosta al poeta inglese in un modo differente. In Macbeth ricava dal dramma originale tutte quelle situazioni di potere che si addicevano ad un'opera italiana dell'epoca, insieme all'atmosfera notturna. In Otello non solo traccia i personaggi con grande varietà di sfumature, ma evoca con le note tutta la ricchezza di suggestioni poetiche presente nei versi del poeta. In Falstaff fornisce una soluzione ancora diversa, scrivendo una commedia “episodica” che contiene un'abbondanza di caratteri e varie trame secondarie. Il problema che Verdi e Boito si trovano ad affrontare qui è la figura del protagonista, invero piuttosto sbiadito nella commedia “The merry wives of Windsor” a confronto con il simpaticone di alcuni drammi storici: ma il merito di Boito è di avere saputo mischiare sapientemente alcuni spunti presi dai drammi, inquadrando nella commedia il vero Falstaff in tutto il suo carattere.
Il giovane Arnaud Bernard apparentemente “non omette nulla, non aggiunge nulla”, ma in realtà compie un'operazione di attualizzazione raffinata e coinvolgente, complice la bella scena di Alessandro Camera, i costumi di Carla Ricotti e le luci di Roberto Venturi. Alcune trovate, come i “fermi immagine”, sono molto efficaci al gioco scenico. Ma soprattutto è la capacità di far scorrere la rappresentazione con grande naturalezza che rende lo spettacolo elegante e misurato. Al centro del palcoscenico Falstaff è in scena, l'azione si svolge in abiti elisabettiani e con poche, essenziali scene della stessa epoca, montate e smontate a vista. Intorno si muovono i tecnici e varie persone, vestite con abiti degli anni Trenta, credo senza una ragione particolare, salvo creare uno slittamento temporale tra il tempo della rappresentazione ed il tempo in cui questa avviene, insomma il teatro nel teatro. Comunque qui bello a vedersi. Soprattutto per alcuni momenti molto poetici, su tutti il finale: la scena si svuota, dopo la confusione del terzo atto; rimangono un adulto e un bambino, portano un lampione al centro del palcoscenico, il bambino lo accende poi scappa e la luce, lentamente, si affievolisce, sullo sfondo grigio di una metropoli industriale. Tra Chaplin e un malinconico Verdi, una sottile vena triste che dà un senso alla natura transitoria della felicità.
La lettura che Jeffrey Tate, alla guida dell'Orchestra del San Carlo, dà della partitura è in linea con quanto detto sopra, una musica molto morbida, con pause e ricercati rallentamenti, a sottolineare la velatura autunnale sottesa. Tate evidenzia le belle trasparenze della musica e dirige ottimamente anche i cantanti ed il coro, che fornisce una buona prova, preparato da Marco Ozbic.
Ambrogio Maestri è un Falstaff credo senza eguali oggi in Italia sia per presenza scenica che per vocalità: enorme ed immenso, svetta sugli altri cantanti. Svetla Vassileva appare stanca vocalmente e troppo esile per il personaggio. Serena Gamberoni è una Nannetta giovanissima ma dotata di gran voce. Deludente la Meg di Eufemia Tufano, inclassificabile la Quickly della danese Mette Ejsing: voce troppo chiara ed accento straniero pesantissimo, pessimo in quella parte in cui il declamato ha una importanza fondamentale. Bene il Ford di Vladimir Stoyanov. Con loro Dmitry Korchak (Fenton), Luca Casalin (Dr. Cajus), Gregory Bonfatti (Bardolfo) e Enrico Iori (Pistola).
Visto a Napoli, teatro di San Carlo, il 15 dicembre 2006
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
San Carlo
di Napoli
(NA)