Ci troviamo al Teatro Comunale di Modena per assistere non solo ad un nuovo allestimento di Falstaff. La direzione di Jordi Bernàcer dipana con bella limpidezza, savia lievità, delicata trama di colori l'estrema partitura verdiana.
A ben vedere il Falstaff di Verdi è qualcosa di più che un eccezionale protagonista, dal momento che, anche in sua assenza, l'azione comunque ruota intorno alla sua straripante figura. Anche per questo, questi corpulenti panni sono un ambìto approdo per ogni baritono che si rispetti.
Di prassi, ci si arriva dopo aver indossato quelli di Ford, cosa che in effetti Luca Salsi ha già fatto ripetutamente. Anche a fianco del più celebrato Cavaliere di questi ultimi anni, vale a dire Ambrogio Maestri. Dunque, è finalmente pure per lui arrivato il momento canonico dato che, come cantante ci pare all'apice delle potenzialità canore; quale interprete, ha raggiunto il consono grado di maturazione interiore.
Un nuovo, eccezionale Falstaff
Dopo il primissimo debutto di fine gennaio a Piacenza, ed in attesa dell'approdo a Reggio Emilia, ci troviamo al Teatro Comunale di Modena – la compagnia non cambia di un ette - per assistere non solo ad un nuovo allestimento di Falstaff, ma sopra tutto per scoprire l'ultimo personaggio del bravo baritono parmense. Tutto va per il meglio, naturalmente: per prima cosa, la resa del personaggio in sé - invecchiato a dovere da un trucco adeguato - si rivela piena ed assoluta, risultando istintivamente simpatico e profondamente umano, nei suoi vizi e nelle sue virtù. Senza inutili ammiccamenti, né fastidiosi birignao.
Non gli difetta il sicuro presidio scenico, né la ragguardevole varietà espressiva, che passa attraverso la consapevole indagine della parola; quanto all'esuberante musicalità, poggia sempre su un patrimonio vocale saldo e granitico, venato da gradevoli armonici e sorretto da un fraseggio ineccepibile. Un sir John in continuo, formidabile crescendo, sin dalla strepitosa invettiva “L'onore? Ladri!”, dipanata con densità shakespiriana, e poi dal fine bulino di “Quand'ero paggio”.
Falstaff, opera dai tratti corali
A fronteggiare tanta personalità, sta un altro superlativo baritono verdiano, Vladimir Stoyanov. Ford sopraffino per due fattori: l'indubbia intelligenza interpretativa, da una parte; una vocalità solida sin nelle radici ed amministrata con sagacia, dall'altra. Ma qui, in più, forte di un suono studiatamente caustico e tagliente, che in riuscita contrapposizione alla voce più 'rotonda' ed umorale del compagno di viaggio.
Veniamo alle comari: Serena Gamberoni dipinge con finezza un'Alice squisita, amorevole e pungente al tempo stesso; Rossana Rinaldi (Quickly) e Florentina Soare (Meg) portano sulla scena due splendide e pepate silhouettes femminili; Giuliana Gianfaldoni è una languida e ricamatissima Nannetta, affiancata dal fresco e calibrato Fenton di Marco Ciaponi. Marcello Nardis e Graziano Dallavalle rendono brillantemente la gaglioffa natura di Bardolfo e Pistola. Non ci è piaciuto, spiace dirlo, lo stridente Cajus di Luca Casalin.
Direzione e regia, entrambe lodevoli
La direzione di Jordi Bernàcer – lo vediamo a capo dell'Orchestra Toscanini – dipana con bella limpidezza, savia lievità, delicata trama di colori l'estrema partitura verdiana, restituita in tutta la sua ariosa enfasi. E sa reggere a dovere i fili delle trame vocali di quest'opera, dai connotati sovente corali: mai, infatti, i cantanti – impegnati in un vivace e sottile gioco di squadra – sono trascurati dalla sua vigile bacchetta. Irreprensibile l'apporto del Coro del Municipale di Piacenza, curato da Corrado Casati.
Le rade scenografie sono di Emanuele Sinisi: purtroppo, dopo il ben descritto ambiente della Giarrettiera, la scena man mano ahinoi si dirada sino a scivolare nel vuoto. Insieme ai costumi di Valeria Donata Bettella, amabilmente raffinati, affiancano una visione registica che però ci piace assai: per i tratti suadenti, per l'andamento giocoso, per l'implicita leggerezza. È quella che ci offre Leonardo Lidi.