La traviata, Rigoletto, Otello, Macbeth, Simon Boccanegra, Don Carlo. Ed ora, in apertura di stagione 2022/23 del Teatro La Fenice – serata va da sé in gran spolvero, con illustri ospiti in sala - il testamento musicale di Verdi, vale a dire Falstaff. Sono dunque sette i grandi titoli verdiani che Myung-Whun Chung ha diretto a Venezia dal 2009 ad oggi, anche più volte.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Conquistando, con il Simone, pure il Premio Abbiati 2015. Segno di un'affinità intima, non solo musicale ed artistica, ma nel fondo anche umana, specialmente in questo lavoro crepuscolare, in cui per lui Verdi «musicalmente ha inserito tutto quello che ha imparato in ottant'anni, in modo delicato e raffinato ma allo stesso tempo profondamente vero».
Partitura teneramente sentimentale ancor più che comica – Giulini la rendeva attraverso una venatura seria e melanconica - che il maestro coreano imposta da par suo, con oculata sapienza ma anche con manifesta partecipazione.
Con il consueto, espansivo piglio teatrale, eccolo intento a ben dosare la carnalità dei personaggi, la varietà delle tinte, la bellezza strumentale, la mutevolezza ininterrotta della scrittura. Ed a ben bilanciare l'alternanza fra ritmi serrati e delicate espansioni liriche. Quanto all'Orchestra della Fenice, in stato di grazia, lo asseconda in pieno sino all'ultima fila dei suoi strumentisti.
Un team squisitamente british al lavoro
Queste recite veneziane di Falstaff, partitura particolarmente ricca di invenzioni musicali e di stimoli per un regista, hanno visto il coinvolgimento d'un esperto di teatro elisabettiano quale Adrian Noble - già direttore della Royal Shakespeare Company dal 1988 al 2003 - che si è avvalso anche del supporto di Joanne Pearce.
Non è un caso quindi che questa sua rilettura – costruita con l'ausilio del talento scenografico di Dick Bird e dei costumi seicenteschi di Clancy - immerga lo spettatore nella fervida attività del Globe Theatre, l'antica sala londinese che vide nascere i capolavori di Shakespeare. Al punto che, dietro i nostri personaggi, scorgiamo proprio lui, il Bardo, intento alle prove di Sogno di una notte di mezza estate, guidando Puck, Bottom e le piccole fate.
E' dunque un team interamente british – solo le luci sono condivise tra Jean Kalman e Fabio Barettin – quello che ci consegna spettacolo quanto mai gradevole, spiritoso e zampillante, sempre in perenne movimento. Tutto cosparso di tanti preziosi particolari e di vivaci controscene, ci è parso però sin troppo affollato di maschere sotto la quercia di Herne.
Due baritoni a contendersi la scena
Un Premio Abbiati, se l'è aggiudicato anche Nicola Alaimo nel 2016. Proprio per un Falstaff eseguito alla Scala: ruolo ricoperto da ultimo l'anno scorso al Maggio Fiorentino, con uno straordinario successo che si ripete in queste recite veneziane. Il suo carnoso cavaliere domina la scena grazie alla penetrante fusione fra vivace gestualità e perfetta articolazione delle sfumature testuali; e grazie alla nobile e schietta linea di canto, che trova salde basi in un'emissione omogenea e prodiga di colori.
Gli fa da spalla uno strepitoso, mercuriale Ford, ed è quello di Vladimir Stoyanov: un Ford connotato da ricchezza di chiaroscuri, da abilissimo fraseggio, dalla resa di tante nervose sfumature specialmente nel suo furente monologo.
La colorita folla di Windsor
Il trio delle comari trova il suo perno in Veronica Simeoni, interprete ricca di carisma e vivacità, pronta a rendere una Meg Page gustosa, trascinante, ma per nulla caricata; Selene Zanetti canta con eleganza la sua Alice Ford – ottimo il registro centrale, sui cui gravita la parte - benché le manchi un pizzico di pepe in più; Sara Mingardo ci consegna una saporita e briosa Quickly.
Tre eccellenti cantanti/attori di notevole musicalità per i compagni di bevute all'osteria: sono Christian Collia (Cajus), Cristiano Olivieri (Bardolfo) e Francesco Milanese (Pistola).
Caterina Sala è una Nannetta di fresca presenza: la voce non è potente ma graziosa ed attraente. René Barbera infonde nel suo Fenton un timbro di non comune bellezza, però è interprete poco espressivo.
Positiva la prova del Coro feniceo diretto da Alfonso Cajani.